Interessante notare dai manifesti, come anche la fisicità del candidato tipo sia cambiata nel tempo: non c’è più spazio per le posture ingessate da camicie inamidate. Ora l’autorevolezza passa da quella confidenzialità che rende un messaggio più credibile. Ora, i polsini della camicia vanno sbottonati e le maniche rigorosamente rimboccate sugli avambracci. Se si sbottona appena la camicia e ci si toglie la cravatta è ancora meglio.
Fortunati noi, che di residui di vecchi comizi di piazza ne facciamo ancora uso. Anche se, come in ogni rivoluzione radicale che si rispetti, siamo nella piena fase in cui “vecchio” e “nuovo” si affiancano. Vale per la tecnologia, così come i candidati (a giudicare dalle liste leonfortesi). Si affiancano, sì, ma in un processo osmotico che non li vedrà mai mescolati. A questa fase, generalmente, segue la successiva in cui il “nuovo” soppianta il “vecchio”. Vale per la tecnologia, vale per i candidati. Oggi una campagna elettorale che si rispetti non può prescindere dal web (e da ben prima dell’avvento di Grillo, si vedano i vecchi portali del Pdl e del vetusto Ulivo). Il perché è presto detto: Zygmunt Bauman, in “Modernità liquida” mette l’accento sulla profonda individualizzazione, di cui il web è complice. Siamo soli ma interconnessi e presi dalle interazioni che avvengono in agorà virtuali. Nulla di apocalittico in tutto questo, perché in questa analisi ci inserisco le peculiarità di una politica “local”, basata su un attaccamento alla vecchia scuola politica, che nella nostra zona pare essere più spiccata che altrove. In barba all’arretratezza che da fuori ci affibbiano, noto con estremo piacere che Facebook rimane in una posizione ancillare rispetto al contatto umano (sarà agée, ma che ci posso fare se sono ancora convinta che un’energica stretta di mano valga più di cento like su Facebook?), alla piazza che si raduna davanti a un comizio. Il tutto senza togliere al social network quella prerogativa che lo vuole terreno fertile per comitati cittadini e gruppi. Partendo da un interesse comune, i ragazzi propongono e progettano. Protestano. Agiscono. Con o senza simboli partitici, con o senza precise collocazioni politiche (e del resto, occuparsi del bene comune del proprio territorio non è già politica?). Penso a gruppi che seguo, come “Assoro , la politica siamo noi”, “Leonforte”, “Assoro prima di tutto” e via discorrendo. Anche i nostri candidati hanno fatto proprio questo assunto, per cui da sinistra e da destra è tutto un fiorire di fan page, da cui originano quotidianamente spunti, confronti sani e perché no, anche quel piacevole sfottò, goliardico e mai pesante, tra supporter di questo o quel candidato. Nelle campagne elettorali “di paese”, sappiamo dimostrare di poterci ancora muovere con destrezza tra virtuale e reale, senza abbassare la guardia nella battaglia a colpi di mouse e senza perderci il canonico appuntamento sotto il palco, in attesa che il comizio inizi.
Alessandra Maria