Aspetti simbolici e carattere solidaristico-comunitario del pellegrinaggio dei Ramara di Troina

 Oggi pomeriggio sulle rive del fiume Troina, a pochi passi dal ponte Failla, ci sarà una folla di amici e parenti a dare il bentornato ai circa 500 Ramara di ritorno dai Nebrodi, dove sono andati in pellegrinaggio per san Silvestro, monaco basiliano, patrono e cittadino di Troina. “Civis et patronus” è l’appellativo che accompagna il nome di san Silvestro. Sono partiti alla volta dei Nebrodi giovedì sera nella dal piazzale antistante la chiesa di san Silvestro. Ad Anghira di Faccilonga, sui Nebrodi nel territorio del comune di San Fratello, i Ramara, dopo aver percorso una trentina di km a piedi, vanno a toccare i ramoscelli di alloro per rendere omaggio al santo patrono di Troina per il quale nutrono una sincera e profonda devozione. Domani mattina si riuniranno nel Paino delle Giumente, sotto il campo di calcio, da dove si muoveranno in corteo carichi di alloro per raggiungere, attraversando le vie cittadine, la chiesa di san Silvestro da dove erano partiti giovedì sera. L’alloro è l’albero sacro a san Silvestro. Quest’arbusto era sacro ad Apollo, una delle molte divinità del pantheon degli antichi greci. Le fonti storiche parlano di un tempio ad Apollonia, l’antico nome di San Fratello, dove i pastori ed allevatori di un paio di millenni fa andavano in pellegrinaggio per chiedere ad Apollo di proteggere i loro armenti e le loro greggi. Nella prima meta del III millennio a. C. nel territorio di Troina si erano insediati gruppi di coloni greci provenienti da Creta. Che proprio in questa zona dei Nebrodi si sia sviluppato questo suggestivo pellegrinaggio dei Ramara non è per nulla casuale. Il pellegrinaggio nasce e si sviluppa in un contesto geografico specifico per ragioni storiche facilmente individuabili. L’esperienza del pellegrinaggio è comune a molte religioni. Pur di raggiungere questa sorta di luogo sacro sui Nebrodi, i Ramara intraprendono un viaggio affrontando dure prove come condizioni climatiche avverse, la lunghezza del percorso, le difficoltà che incontrano lungo il tragitto, la durata di due giorni e gli imprevisti di una situazione sempre precaria com’è un lungo viaggio nell’oscurità della notte tra i boschi a piedi attraverso sentieri impervi. Il viaggio indubbiamente una forma rituale, con tutte le sue procedure codificate, i suoi gesti predefiniti, le sue espressioni orali apprese e tramandate a memoria. Il ramaro è un pellegrino particolare, magari mosso com’è da esigenza di gratificazione esistenziale, di ricerca di soluzione dei propri problemi familiari e di salute. Quando Troina, fino alla metà del Novecento, era una società a prevalente economia agraria con una rigida stratificazione sociale, i ramara erano contadini poveri e braccianti. In uno dei loro canti il riferimento il riferimento alla loro appartenenza alle classi subalterne è esplicito:

“Madonna quantu è javutu lu suli,
sant’Aita facitulu cuddari.
Avi di l’abba chi sugnu a buccuni,
li rini si li manginu li cani!
Nun l’ata fari no ppi li patruni,
ma lu povuru junnataru!”

Il pellegrino appartenente alle classi popolari partecipa all’esperienza del viaggio come a qualcosa di assolutamente nuovo e di radicalmente diverso dalla vita quotidiana che conduce. Il viaggio è vissuto come possibilità di distacco progressivo dalla sfera del noto, per una progressiva assunzione di una dimensione ignota in cui misticismo ed esaltazione dovuta anche ad abbondante libagioni, concorrono a determinare comportamenti che svolgono una funzione compensativa in rapporto alle innumerevoli frustrazioni della vita. Il pellegrinaggio di ramara è estremamente democratico. Il pellegrinaggio di ramara ha un forte carattere solidaristico-comunitario. L’esperienza del pellegrinaggio, del viaggio, dei Ramara è carica di elementi simbolici, che lo rendono attraente e faticoso nelle stesso tempo, ma difficile da dimenticare e pertanto degno di essere ripetuto. Non è raro che il pellegrinaggio comporti l’attraversamento di una fiume. Ed i ramara nel loro viaggio attraversano il fiume, che si chiama “fiume Troina”, in corrispondenza del ponte Failla. Lo scorrere della acque di un fiume evoca significati ed immagini che si legano al tema del viaggio. Presso gli antichi greci l’attraversamento di una fiume era accompagnato da riti propiziatori. E non è un rito propiziatorio quello che fanno i Ramara quando si mettono in cerchio sul fiume Troina, prima di passare sul ponte Failla, quando ritornano dai boschi sabato pomeriggio?

Silvano Privitera