La gastronomia pasquale ad Enna

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Pasqua di tradizione: pasta casereccia, l’immancabile agnello e… tanti dolci!

La carne spadroneggia, grande la varietà di dolciumi pasquali.

“nella festività di Pasqua la gastronomia rispetta il senso religioso dei riti connessi: quaresimale e di magro, a base di ortaggi e verdure per tutta la Settimana Santa, mentre il Sabato e la Domenica di Pasqua, ci si riconcilia con una cucina ‘ricca’ e sostanziosa cui segue una infinita varietà di dolciumi”.

Nelle famiglie si ha ancora la gelosa preparazione della pasta ‘fatta in casa’, con farina di grano duro, quali: ‘cavateddi co sucu’, ‘maccarrùna tri dita’, ‘lasagni ricci’ ed i ‘tagghiarini che funci’.

La gastronomia dell’Ennese non si basa su specialità ricche o su piatti molto elaborati, ma non per questo è poco gustosa o poco adatta a pranzi di una certa importanza: è solo lo specchio di una provincia preminentemente agricola e dedita alla pastorizia. Nella festività della Pasqua la gastronomia rispetta il senso religioso dei riti connessi: quaresimale e di magro, a base di ortaggi e verdure per tutta la Settimana Santa, mentre il Sabato e la Domenica di Pasqua, ci si riconcilia con una cucina “ricca” e sostanziosa cui segue una infinita varietà di dolciumi. D’altra parte come si potrebbe essere lieti, e disposti a laute mense, dopo le meste cerimonie del Venerdì Santo che quasi ovunque si svolgono con grande commozione e sincera partecipazione. Così a Barrafranca ed a Piazza Armerina, dove i fedeli intonano le “lamentazioni”; ad Assoro dove i Nudi seguono la “vara” del Cristo a piedi nudi; alla triste Deposizione, detta “u mulimentu”, a Leonforte; od ancora a Pietraperzia, dove si svolge la spettacolare quanto emozionante processione “du Signori di li fasci”. E’ solo al Sabato, dopo la Resurrezione, e la Domenica di Pasqua, dopo l’incontro tra la Madre ed il Figlio (detti “U scuntru” a Nicosia; o “Giunta” ad Aidone e Barrafranca); o con la gioiosa ripresa delle 24 bocche della fontana di Leonforte, dalle quali ora sgorga acqua sorgiva, rimaste “silenziose” per il lutto: che i fedeli – quasi con atto liberatorio – si dedicheranno ad una ricca tavola con la degustazione dei piatti della tradizioni e festivi. Vediamole queste specialità, spesso uniche, originali e di grande spessore. Nelle famiglie si ha infatti ancora la gelosa preparazione della pasta “fatta in casa”, con farina di grano duro, quali: “cavateddi co sucu”‘, “maccarrùna tri dita ” (maccheroni grossi tre dita); “lasagni ricci” (lavagnette arricciate all’uovo con ragù aromatizzato alla cannella, piatto tipicamente devozionale); ed i rari quanto eccezionali “tagghiarini che funci”. Primi piatti della Vigilia (spesso penitenziali), sono il “panicuòttu” col pomodoro, caduto in disuso altrove; i maccheroni “busiàti” con la ricotta; la pasta con la lenticchia nera di Leonforte; la polenta chiamata “frascàtula ” di Villarosa, piatto antico che va scomparendo (così come sono scomparsi – stavolta fortunatamente – gli zolfatai locali che la inventarono); e l’altra polenta di Nicosia, detta “piciòcia”, preparata con farina di ceci, fave, ed ancora la polenta di cicerchie (rumanèdda) di Cerami. Le ricette a base di pesce si possono contare in una sola mano, essendo come già detto, una provincia che non possiede alcun mare; cioè stante troviamo specialità interessanti quali ‘anciovi a vapùri’; ‘sardi a grottè’; o qualche altra come il baccalà alla ghiotta, preparato però in maniera del tutto originale rispetto ad altre portanti lo stesso nome.Trote ed anguille si trovano ancora nel lago Pozzillo, vicino Regalbuto, dove ancora vengono preparate alla Vigilia. Le carni spadroneggiano la Domenica di Pasqua: agnelli e ciarbiddùzzi, ovvero i capretti, vengono preparati in ogni modo, riuscendo tra l’altro le abilissime cuoche ennesi, a cuocere anche ovini adulti togliendo loro afrore e durezza. Meritano citazione l’agnello al limone (detto anche a fricassè a Valguarnera); l’agnello in umido con piselli (a Villarosa); il ciarbiddùzzi farcito; ed al forno (ovunque), o cotto alla brace; e le insuperabili stigghiole di capretto di Piazza Armerina. Naturalmente si hanno anche ottime specialità a base di pollame, tra le quali si distinguono la ‘jaddina a Calascibbittisa’, il pollo a sanfasò; il papi chinu (tacchino farcito). Numerosissime le preparazioni a base di ortaggi e legumi, per come già detto, tipiche di una cucina contadina prevalentemente vegetariana; prevalgono quella a base di carciofi, cardi, melanzane, finocchietti, peperoni, fave (queste ultime raggiungono la palma a Troina e Leonforte), i quali spesso vengono anche utilizzati per condire primi piatti (pasta che favi freschi; che pisèddi; tagliarini ca muddica e finucchieddi; pasta che mazzareddi di Aidone), fave lenticchie e verdure di Assoro; la classica frittèdda, intingolo in cui guazzano, a pari peso, fave, piselli e carciofi, che si prepara ovunque, i càmoli (cicoria selvatica) di Sperlinga; la pitànza di Nicosia (peperoni, melanzane, cipolle, patate, pomodori). Tipici alcuni insaccati che, a fette, fanno da antipasto in attesa della immancabile pasta “fastiva ” che seguirà: la fellàta (grossi rocchi di carne di maiale, con lardo aromi e stagionatura di tre mesi), ed il bucchiulàru (specie di soppressata), entrambi tipici di Agira; il subissàta (insaccato di trito di maiale con lardo, pepe, e stagionato al vento freddo) di Troina; e l’originale salsiccia di Nicosia (carne mista di maiale e coniglio). I formaggi abbondano ovunque e sono di largo consumo ed uso comune, ma immancabili in questa occasione: in particolare primeggia il pecorino qui più noto col nome di piacintinu (eccellenti produzioni si hanno a Barrafranca, Enna, Piazza Armerina) che può essere considerato unico, essendo stato inserito nel caglio una presa di zafferano selvatico, donando così alla polpa un bei colore giallo ed un gusto più ricco. Poca frutta nel complesso, ma particolari produzioni meritano ricordo, come le arance di Centuripe; le castagne di Troina; gli splendidi fìchidindia di San Cono e Piazza Armerina; le mandorle di Agira, le nocciole di Piazza Armerina; le pesche tardive di Leonforte (anche se purtroppo queste non possono trovarsi sulla tavola a Pasqua); i pistacchi di Barrafranca, Calascibetta e Pietraperzia. Sono note per bontà le olive e l’olio di Leonforte e Regalbuto, che certamente hanno contribuito alla preparazione di tutti i piatti prima elencati. Incredibile la quantità, e soprattutto, l’originalità dei dolciumi di questa Provincia, la maggior parte dei quali furono inventati per cadenzare le feste dell’anno, e quindi rinnovati e ripetuti per le grandi occasioni, quali battesimi, cresima, matrimoni. Dolciumi poveri (relativamente) per materie prime, ma ricchi di inventiva e gusto: si assaggino ad esempio i masciatèddi nuziali di Agira, ed ancora di Agira i piscilina (biscotti da forno preparati con farina di Maiorca, uva passa, mandorle tostate e pistacchi); i mustazzola di meli; i pasti di Nàpuli a Troina; ancora i mustazzola di vinu cuottu (o ‘nfasciateddi), simili a quelli del ragusano; gli sgrinfiati di Calascibetta; una serie di dolciumi con nomi tanto curiosi quanto invitanti quali cannatèlle, chitellini, degerine, pittiddi, zìppuli; quindi la deliziosa suppa angelica; gli zuccarini di Nicosia (speciali savoiardi inzuccherati); il tortòne di Sperlinga (qui fanno addirittura una sagra -il 16 agosto- per celebrare questo dolce popolare il quale consiste in fette di pane fritto e poi zuccherato), ed infine dolciumi tipicamente pasquali. Tra questi da ricordare le cassatèddi di ricotta ravioloni a mezza-luna fritti (Troina); l’originale torrone di mandorle e nocciole (Piazza Armerina); il cuscus dolce, coperto di cioccolata, pistacchi, zucchero e cannella), ed i caratteristici biscotti farciti di cucuzzàta o con crema di pistacchi, a forma di agnellini (Aidone); ed ancora i viscòtta rizzi (Barrafranca); i biscotta ca liffia (Calascibetta); i panierini con l’uovo (detto ciucilia a Cerami); e le onnipresenti pecorelle di pasta reale.

Giuseppe Coria

Video del Centro Video Mediterraneo di Enna relativi alla Settimana Santa e la Pasqua ennese. Regia di Paolo Andolina

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