Catenanuova. Due ergastoli per il presunte mandante ed il presunto esecutore della lupara bianca di Vito Donzì

lupara biancaCatenanuova. Due condanne all’ergastolo per il presunte mandante ed il presunto esecutore materiale della lupara bianca di Vito Donzì, non luogo a procedere per sopravvenuta prescrizione per il pentito che ha rivelato i retroscena della scomparsa dell’uomo avvenuta nel 1997. Nella tarda mattinata di ieri si è concluso il processo con rito abbreviato, celebrato dinanzi al Gup di Caltanissetta a carico di Salvatore Leonardi, 48 anni, Salvatore Marletta, 55 anni e il pentito Antonino Mavica. Ergastolo per Leonardi, accusato di essere stato il mandante della “lupara bianca”, e per Marletta che sarebbe stato invece l’esecutore materiale. Mavica, ex affiliato di Cosa nostra, è il primo pentito nella “storia”, del mandamento mafioso di Catenanuova che ha cominciato a collaborare poco più di un anno fa. Mavica ha raccontato agli inquirenti degli affari e personaggi della mafia a Catenanuova, permettendo di svelarne i meccanismi, le faide e le lotte di potere. Sulla criminalità di catenanuova hanno fatto luce, in questi ultimi anni, le indagini svolte dai carabinieri del Comando provinciale di Enna, comandanti dal colonnello Baldassare Daidone e coordinate dalla Dda di Caltanissetta. Inchieste che hanno portato alle operazione “Fiumevecchio” e, nel settembre 2013, all’ordinanza di custodia cautelare per Marletta e Leonardi accusati del delitto di Dinzì. È stato Mavica ad autoaccusarsi di essere esecutore materiale del delitto e della brutale distruzione del cadavere di Vito Giuseppe Donzì, scomparso a 26 anni, il 27 gennaio del 1997. Le dichiarazioni di Mavica ed i riscontri probatori raccolti dai carabinieri del comandante provinciale, hanno portato alle ordinanze richieste dai sostituti procuratore della Dda di Caltanissetta, Roberto Condorelli e Giovanni Di Leo, e alla condanna con l’abbreviato, pronunciata ieri. Mavica aveva raccontato di essere stato incaricato di eliminare Donzì e che portò a termine l’incarico insieme a Marletta. Donzì venne eliminato perché era “una testa calda, un cane sciolto, che agiva senza alcun permesso compiendo furti e danneggiamenti contro imprese che già pagavano il pizzo a Leonardi. La sua morte venne decisa quando Donzì reagì con spavalderia agli avvertimenti. Una situazione che metteva in grave difficoltà Leonardi perché ne minava l’autorità di capo. Donzì venne avvicinato con il pretesto di vedere un’auto rubata nascosta in un casolare. Una volta giunti in una zona isolata, a Donzì vennero sparati due colpi alla testa, quindi il corpo venne dato alle fiamme fino a carbonizzarlo e i pochi resti vennero sparsi in un campo nelle campagne di Catenanuova. All’epoca Leonardi e Marletta vennero sospettati del delitto, ma non su possibile eseguire alcun arresto mancando le prove.

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redazione-vivienna