Merletti e matrimoni. Leonforte: Pro Loco e dote maritale

Merletti e matrimoniLa lezione conclusiva del corso di dialetto, tenuto dall’Università popolare e dalla Proloco, ha per questo anno accademico salutato i convenuti con i pizzi e i merletti della dote. Le signore che hanno partecipato alle lezioni, “cuntando” di cose che avevano appreso dalle loro mamme e quelle dalle loro nonne, hanno esposto le belle cose che un tempo riempivano le cassapanche ai piedi del letto. Lenzuola, tende, tovaglie ricamate e biancheria intima dalle dimensioni così ampie, che oggi ci si potrebbero ricavare centinaia di striminzitissime e perigliosissime “aderenze” impudiche. Tessuti ornati con pazienza certosina, intagli delicati e disegni celestiali che avrebbero dovuto accompagnare la vita coniugale della maritata. La dote “consava e sconsava” matrimoni. A contarne le federe e i quadrati erano le attente mamme che alzando la posta rilanciavano a seconda del numero e della finezza del donato. Ogni signora ha voluto dire di quello che aveva e di quello che avrebbe dato ai figli maschi e alle femmine: lenzuola di letto grande per queste ultime di lettino per i primi, che essendo “masculi” la dote la tenevano in se. Sapori antichi e antiche tradizioni che rendono il presente più ricco e meglio comprensibile. La professoressa Giovanna Maria non ha mancato di accompagnare la “taliata” della “robba” con una storia adeguata. “Si cunta e si raccunta un bellissimu cuntu” così ha avuto inizio questa anno e così si è concluso. La fanciullina di questa vicenda è una buona massaia tutta presa dal cucito e dall’orto. Un principe baldanzoso vedendola se ne innamora e per possederla deve inventarsi mascheramenti e bugie nobilitate dall’amore. La fanciullina male in arnese non avrebbe certo potuto accasarsi col figlio del Re, se non fosse stata ella stessa figlia di una contadina bene dotata di ingegno. E fra prove regali e volgari “ammanzamenti” si giunge a nozze che oggi la TV celebrerebbe e immortalerebbe. Il “cuntu” allora semplicemente educava e faceva credere alle contadine che il lavoro e la virtù inquietano più dei titoli nobiliari e dei tesori.

 

Gabriella Grasso