Zarba spiega che «i versamenti della quota associativa, per un accordo fatto da tutte le associazioni di categoria con l’Inps, sono inclusi nei contributi previdenziali; di conseguenza se l’artigiano non paga i contributi previdenziali all’Inps non versa nemmeno la quota associativa. Ma nonostante ciò, continuiamo ad assistere ed erogare servizi anche ai nostri soci insolventi; è un momentaccio e tutti dobbiamo stringere i denti».
Dunque, strozzati tra creditori che bussano alla porta, pagamenti per lavori fatti che non arrivano, banche che non fanno credito e tasse di ogni genere, tanti artigiani preferiscono, in attesa di tempi migliori, sacrificare il proprio futuro. «Il problema – osserva la segretaria di Confartigianato – non si chiude qui, perché mentre l’artigiano è costretto, per non incorrere in un reato penale, a pagare i contributi previdenziale per i propri dipendenti, non pagare i suoi all’Inps non è reato di natura penale, ma diventa controproducente in quanto rischia di rimanere stritolato dal meccanismo di recupero crediti. In questo momento la scelta di non pagare è diventata un’esigenza e non un comportamento illegittimo a causa della mancata liquidità delle imprese e quindi all’impossibilità di accedere al credito. Le banche oggi prestano i soldi solo a chi ce li ha. Perché se l’artigiano non ha la cosiddetta capacità restitutiva, pur avendo attrezzature, locali e quant’altro, difficilmente gli viene dato credito e spesso neanche con la garanzia del nostro consorzio Fidi. A volte pretendono che il consorzio garantisca fino all’80% anche se di norma garantisce fino al 50».
Giacomo Lisacchi