L’annuncio del trasferimento è stato dato dal neo assessore prof.ssa Giusi Furnari, che si è impegnata, tuttavia, a trattare per ridurlo al quadriennio 2015-2018, senza possibilità di replica nel prossimo mezzo secolo, come pure previsto nell’accordo “capestro” ( alutazione nostra) con il Metropolitan.
Il lasciapassare assessoriale è un fulmine a ciel sereno, perché eravamo convinti del contrario dopo il decreto emesso dal precedente assessore Mariarita Sgarlata il 28 giugno 2013, che aveva incluso il tesoro di Morgantina, con l’assenso dell’intera giunta regionale, tra i beni d’arte “inamovibili” dal nostro territorio per motivi di sicurezza. Un decreto animato dal lodevole intento di preservare alcuni capolavori assoluti dell’arte antica (come l’auriga di Mozia per citarne un altro) dal rischio di danneggiamento involontario, ma che ha fatto inalberare il MET, il quale non vuole sentire ragioni.
Ora, a parte l’incoerenza del nostra autorità regionale di tutela, che cambia opinione in un breve lasso di tempo e sostanzialmente getta la spugna dopo avere appena annunciato battaglia, c’è da registrare una situazione imbarazzante, che nasce dalle indagini sofisticate alle quali è stato sottoposto il tesoro e di cui si è dato conto al Convegno. Messi ai raggi X, quasi tutti i pezzi, costituiti da sottilissima foglia d’argento sbalzata, hanno mostrato i segni di fratture in evoluzione, di degrado del materiale ed altre criticità, sin’ora ignote e che mettono a repentaglio l’integrità degli stessi, soprattutto se esposti al maneggio di troppe mani ed allo stress di ambienti di conservazione nuovi o sfavorevoli. Detto altrimenti e in parole povere, il viaggio in America del tesoro di Morgantina è, quantomeno, un viaggio ad alto rischio: è come esporre d’inverno un bambino con la bronchite alla finestra per vedere l’effetto che fa.
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Può darsi che al Metropolitan la salute del nostro tesoro non interessi più di tanto, ma l’amministrazione regionale ha il dovere, da bravo medico, di rappresentargliela nella sua precarietà e di persistere nel tentativo di modificare l’accordo del 2006, offrendo in cambio qualche altro capolavoro non a rischio di danni imminenti, di cui è piena la Sicilia. E poi, detto francamente, che interesse può avere il più grande museo del mondo a spogliare, sebbene per un periodo limitato, un piccolo museo di provincia che fa fatica, generosa ed impari, nel crearsi un suo spazio nell’offerta culturale/turistica siciliana? E’ morale staccargli la spina per quattro anni, privandolo di uno dei suoi punti di forza, per l’esposizione del quale anche la comunità locale, indebitata sino al collo, è stata costretta a sborsare 30.000 euro per “compartecipare” alla spesa di competenza regionale? Domande, domande senza risposta sino a quando Demetra dal suo “inamovibile” (quello sì) piedistallo antisismico al museo di Aidone non scateni la sua ira ed il suo anatema verso chi tratta l’arte antica come merce di… scambio.
Silvio Raffiotta