Appalti pubblici: incostituzionali norme LR15/2008 su tracciabilità

Appalti pubblicie misure specifiche di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata, richiedendo un’applicazione uniforme su tutto il territorio dello Stato, gravitano nel campo occupato dalla normativa statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza», rispetto alla quale il legislatore regionale è estraneo.

E’ quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 33, pubblicata in G. U. 18/03/2015 n. 11, che è intervenuta a seguito di un rinvio del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge della Regione siciliana 20 novembre 2008, n. 15 (Misure di contrasto alla criminalità organizzata), in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 27, secondo comma, 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione.

In particolare, l’art. 2 della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008 prevedeva l’obbligo per gli aggiudicatari di indicare il numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti dovevano far confluire tutte le somme relative all’appalto. L’aggiudicatario, dal canto suo, si doveva avvalere di tale conto corrente per tutte le operazioni relative all’appalto, compresi i pagamenti delle retribuzioni al personale. Il mancato rispetto di tale obbligo comportava la risoluzione per inadempimento contrattuale.

Inoltre, nello stesso articolo era previsto che i bandi di gara dovessero prevedere, pena la nullità degli stessi, la risoluzione del contratto nell’ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell’impresa aggiudicataria fossero rinviati a giudizio per favoreggiamento nell’ambito di procedimenti relativi a reati di criminalità organizzata.

Secondo la Corte, l’art. 2 della LR n. 15 del 2008 va senz’altro ricondotto alla materia, di esclusiva competenza statale «ordine pubblico e sicurezza», che per costante giurisprudenza ha per oggetto le «misure relative alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico» (ex plurimis, sentenza n. 118 del 2013).

Pertanto, sussiste, nel caso in esame, una sovrapposizione dell’intervento regionale sulla tracciabilità dei flussi finanziari pubblici, laddove la legge regionale, imponendo l’utilizzo di un unico conto corrente, riproduce sostanzialmente il contenuto dell’art. 3 della legge statale n. 136 del 2010, che è stato elaborato – al pari della prima disposizione – con lo scopo di prevenire negli appalti pubblici i «reati che possano originarsi dal maneggio del pubblico denaro, con riferimento soprattutto all’infiltrazione criminale e al riciclaggio» (sentenza n. 35 del 2012).

Inoltre, la stessa Corte evidenzia che la disciplina statale non prescrive la nullità del bando per mancata previsione della risoluzione contrattuale, nel caso in cui un soggetto apicale dell’impresa aggiudicataria venga rinviato a giudizio.

Le considerazioni che precedono consentono alla Corte di affermare che, considerata la coincidenza tra finalità delle norme impugnate e l’oggetto materiale su cui incidono, gli strumenti normativi impiegati non possono che gravitare nel campo occupato dalla normativa statale, cui spetta la competenza esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza.

Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Sicilia n. 15 del 2008., senza che possa essere invocata l’autonomia speciale statutariamente accordata alla Regione siciliana (sentenza n. 55 del 2001).


a cura di Gildo Matera