Villa del Casale di Piazza Armerina rischia di non essere più “Patrimonio dell’umanità” dell’Unesco

RESTAURI: DOPO 6 ANNI RISPLENDE VILLA CASALE PIAZZA ARMERINAAl governo centrale, al Parlamento, a chi muove i fili da Roma, non importa nulla della Sicilia e del Meridione. Non importa che cresca l’economia di questa parte d’Italia, non importa che si sviluppi il turismo e non importa che venga tutelato un patrimonio storico-monumentale che in qualsiasi altra nazione sarebbe considerato (e trattato) come una risorsa.

Una ricchezza incredibile. Nessuno ha tanti “bollini” Unesco quanti ne ha l’Italia (più di cinquanta) e molti di questi si trovano in Sicilia (ne ha 38 la Francia, 39 la Germania, 43 la Spagna, 46 la Cina). Quando i terroristi dell’Isis abbattono o rubano pezzi di storia dai monumenti in Paesi come la Siria o l’Iraq o la Persia, la notizia finisce su tutti i giornali. Eppure i siti riconosciuti storici dall’Unesco in Persia o in Grecia sono meno di quelli che si trovano nella sola Sicilia. Lo stesso dicasi per nazioni come Israele o gli Stati Uniti o la Siria o il Siam. Quando il patrimonio storico monumentale in Sicilia cade a pezzi non interessa a nessuno.

Nei giorni scorsi si è avuta l’ennesima prova di tutto ciò. Dopo i casi eclatanti di Pompei (a causa dei diversi crolli, allora il ministro Bondi ritenne doveroso addirittura presentare le proprie dimissioni), è stata diffusa la notizia che molti siti storici in Sicilia potrebbero non esser più considerati “Patrimonio mondiale dell’Umanità”. Molti dei “bollini” dell’Unesco in Sicilia sarebbero a rischio.

A renderlo noto sono stati gli stessi ispettori dell’Unesco, tra cui il maltese Ray Bondin, che, dopo una visita su alcuni siti, hanno informato i vertici regionali e l´assessore ai Beni Culturali, Antonio Purpura, che siti come Siracusa, le Eolie, la Valle dei Templi di Agrigento, la villa del Casale di Piazza Armerina, le città barocche della Val di Noto e l’Etna potrebbero essere cancellati dall’elenco dell’Unesco. La causa? Nonostante siano stati inseriti nella lista Unesco da oltre un decennio, ad oggi le autorità non hanno ancora attivato neanche il comitato di gestione di questi siti.

Uno stato di degrado causato da mancanza di fondi, ma anche da cattiva organizzazione e incapacità di gestire un patrimonio che è tra i più preziosi in Italia e nel mondo. Gli ispettori, ma anche i turisti, hanno trovato siti sporchi, scarsamente fruibili, in qualche caso sfregiati dai vandali (come a Pantalica), senza alcun supporto pubblicitario e nessun sostegno di marketing (i siti in rete sono stati considerati, in generale, pessimi). Musei e siti archeologici troppo spesso chiusi al sabato e la domenica a causa di accordi sindacali sulle festività, servizi scadenti.

Per questo i responsabili dell’Unesco hanno formalizzato l’ultimatum all’amministrazione regionale e al governo centrale affinché venisse istituito un ente gestore dei “gioielli Unesco siciliani”. “Obiettivo di questi tavoli di lavoro è quello di mettere a regime l’attività dei siti Patrimonio dell’umanità – ha detto l’assessore Purpura – attraverso la realizzazione dei progetti di valorizzazione e conservazione già contenuti nei piani di gestione presentati all’Unesco in occasione del riconoscimento dei siti siciliani. L’Unesco impone la gestione di ogni suo tesoro attraverso un comitato ed è questa una condizione per mantenere il riconoscimento, in quanto è questo organismo che deve occuparsi di tutela, promozione e valorizzazione dei siti”.
Una cattiva gestione dei siti e del patrimonio storico monumentale che comporta un danno economico non indifferente. Basti pensare che il numero di presenze di turisti in Sicilia è meno di un quarto di quelle idi regioni come la Toscana, il Trentino Alto Adige o il Veneto. Un disastro che si ripercuote, sull’economia dell’Isola: nel 2013 le entrate in Sicilia riconducibili al turismo dei viaggiatori stranieri è stato solo un trentesimo dell’incasso complessivo italiano. Un problema, quello della gestione del patrimonio storico monumentale siciliano, che in fin dei conti dovrebbe interessare anche l’Italia. Se è vero che questa regione ne fa ancora parte.

Il fatto è che, di ciò che avviene in Sicilia, al governo centrale non importa nulla. Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia che l’Italia, invece di intervenire per migliorare lo stato dei monumenti e dei siti storici in Sicilia e migliorare la loro fruibilità (con gli inevitabili benefici economici per la regione e per il Paese), ha deciso di regalare poco meno di un milione di euro per le riparazioni del Museo di arte islamica del Cairo danneggiato da un’autobomba, un anno e mezzo fa.

La decisione del governo è stata resa nota nel corso della presentazione di un’iniziativa promossa, guarda caso, anche questa dall’Unesco. Nel corso della manifestazione è stato comunicato che la Cooperazione Italiana allo Sviluppo contribuirà con oltre 800 mila euro al restauro di parte delle opere danneggiate, alla selezione di nuovi oggetti da esibire, alla preparazione dei protocolli per la conservazione degli oggetti da collezione e manutenzione e alla riparazione e/o sostituzione delle vetrine da esposizione.

Non solo. Alla realizzazione delle opere, lo stato italiano (quello di cui, a quanto pare, la Sicilia non farebbe parte…) contribuirà fornendo assistenza: i lavori saranno coordinati dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, Iscr, di Roma.

Quella di preferire il restauro di siti storici e monumenti all’estero, e in particolare in Egitto, invece di occuparsi della valorizzazione delle risorse sul territorio nazionale, non è una novità: recentemente sono stati conclusi progetti per la riqualificazione del sistema museale egiziano, un “supporto” alla Biblioteca Alessandrina, la riabilitazione del parco archeologico di Madinet Madi, la ristrutturazione del Museo Mallawi nel governatorato di Minya.

E mentre i nostri politicanti si vantano di aver salvato e valorizzato i musei in Egitto, il patrimonio storico monumentale siciliano (e meridionale) cade a pezzi. Al punto che, tra poco, per l’Unesco potrebbe non essere più “patrimonio”.

Ma questo, a chi governa l’Italia, evidentemente non interessa…

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