Leonforte. Università popolare: “La banda filippina”

Leonforte monte TaviLeonforte. L’università popolare lunedì pomeriggio si è domandata quanta responsabilità ha una nazione che arma i terroristi, prima di cominciare la lezione sulla banda filippina, la risposta però ancora si attende. La banda filippina assai nota ai leonfortesi ha incuriosito molti non avvezzi alle lezioni ordinarie e difatti l’aula si è affollata parecchio. Si cunta che il principe fondatore si avvalse dei galeotti per fare il paese e di certo a questi avi va addebitato l’animo furente dei nostri nonni. Al principe i primi abitanti della neonata Leonforte mai si opposero, ma ai vessatori che gli succedettero molto. Nel 1812 si registrarono i primi moti cruenti e nel 1820 la tassa sul macinato esasperò gli animi al punto che anche le donne scesero in strada per protestare. La periferia dello Stivale dunque non riusciva proprio a inquadrarsi e nel 1837 gli intellettuali, docenti e discenti degli Scolopi, si levarono contro le forze armate messinesi giunte per sedare tanta animosità. Teste calde in quell’occasione vennero definiti i leonfortesi. Nel 1861 l’Italia è fatta ma la Sicilia ancora non lo sa e Leonforte, benché capoluogo di mandamento delle terre viciniore e per ciò sede dell’Arma e della Pubblica Sicurezza, assiste alla nascita di un brigandaggio strutturato e pervasivo. La banda filippina, così detta per ragioni cinematografiche, regnava incontrastata nei campi e fra le trazzere e la gente benché ne temesse lo strapotere l’avvertiva come elemento costitutivo della società. Sequestri e irruzioni, abusi e violenze sono da addebitare alla banda. Era quello il tempo del giudice Pergola scomparso o aiutato a scomparire, come Piras capo per qualche tempo dei “filippini”. I capi della banda furono diversi e non tutti indigeni e di loro la professoressa Giovanna Maria ha letto un passo dagli scritti delle forze dell’ordine. Vassallo nel ’47 vicequestore e il vicebrigadiere Pinna, si opposero alla banda e con i pochi mezzi, allora come ora a loro disposizione, riuscirono a sgominarla. Fu una notte di luna piena che portò all’assedio di una masseria sospetta e al suicidio del capo della banda, un galeotto evaso dalle patrie galere, che preferì spararsi piuttosto che cadere nelle mani della giustizia. Di lui e di un personaggio noto come “ u minzu” si dirà lunedì prossimo.

Gabriella Grasso