Lo strano ateneo siciliano che laurea medici in romeno

Lo strano ateneo siciliano che laurea medici in romeno
Un giorno a lezione dopo il via libera del giudice. Gli iscritti? Tutti italiani
Laura Anello per La Stampa

crisafulli facolta medicina ennaIl piccolo Davide che sbertuccia il Golia dell’ Università italiana è qui, in una stradina intitolata a Libero Grassi alle spalle dell’ ospedale di Enna, nove aule ricavate in fretta nei locali del vecchio ufficio di collocamento, non una targa né una bandiera fuori, ducotone fresco alle pareti, un cicaleccio di studenti che parlano fitto con Mihaela Mehedinti Hincu, docente romena di Biologia cellulare, chioma biondissima e sorriso di ferro. «Da, da» (sì, sì), «multumesc» (grazie), «cu placere» (prego).
L’ ex senatore-Maometto Dentro, a dispetto della stazza massiccia, il ruolo di Davide è tutto di Mirello (all’ anagrafe Vladimiro) Crisafulli, inossidabile ex parlamentare del Pd e patron dello sbarco dell’ Università romena Dunarea de Jos di Galati, nel cuore della Sicilia.
Sua l’ idea di applicare qui il proverbio della montagna e di Maometto. «Ogni anno duemila studenti italiani all’ anno vanno in Romania a studiare Medicina. Io ho pensato di portare qui la Romania». Sua, soprattutto, la soddisfazione di avere messo in scacco il ministero dell’ Università che ha appena perduto il ricorso con cui intimava di fermare i corsi, bollando l’ operazione come un tentativo banditesco di aggirare il numero chiuso a Medicina in Italia e i controlli di qualità sugli insegnamenti.
Roba da bloccare un razzo, ma per il senatore – come tutti lo chiamano a Enna – è poco più che solletico. Ha superato senza scomporsi lo sfratto repentino da un’ ala dell’ ospedale, dove la procura è corsa a mettere i sigilli per una presunta irregolarità nella convenzione con l’ Azienda sanitaria, e la conseguente inchiesta per abuso d’ ufficio. Addio all’ Asp, e ai tirocini in corsia. Poco male, rispondono qui, il training pratico si farà in Romania. Quanto al senatore, nella sua quarantennale carriera politica, è già passato indenne attraverso un paio di inchieste e al rifiuto del Pd di candidarlo nuovamente perché considerato impresentabile.
Il via libera del tribunale Il tribunale civile di Caltanissetta gli ha dato pienamente ragione: una sentenza che segna un passaggio storico contro cui il ministero potrà fare appello entro dopodomani. Secondo il giudice, il ministero italiano non ha alcun potere di autorizzare o di vietare alcunché: l’ Ateneo è straniero, la qualità dei suoi insegnamenti è certificata in Romania, le lauree sono romene e automaticamente valide in Italia come in qualsiasi altro Paese comunitario. Si chiama «diritto di stabilimento», e vale per un’ Università come per un supermercato. Così il caso Enna è diventato una bomba innescata contro il monopolio dell’ Università pubblica italiana. Saltato l’ argine della territorialità, le porte si aprono a qualsiasi Ateneo straniero che voglia fare concorrenza ai corsi italiani, secondo le regole di mercato: domanda e offerta. Tutti pronti, come la Dunarea de Jos, a delocalizzarsi e a fare «didattica in aule remote», questo l’ escamotage normativo. «L’ Università di Galati – dice Crisafulli – mi ha appena chiesto di fare la stessa operazione con un corso di Ingegneria agro-alimentare. La laurea è come una patente, la prendi e guidi dappertutto. È l’ Europa, bellezza, piaccia o non piaccia». E il Tar del Lazio ha appena dato il via libera anche ai corsi di Medicina dell’ Università di Sofia, base nella svizzera Chiasso, lezioni a Milano. Un altro colpo «contro gli interessi corporativistici della classe medica italiana», per dirla con Giuseppe Arena, l’ avvocato difensore del corso. Qui a Enna i 44 studenti iscritti al primo anno – ragazzi che arrivano da mezza Sicilia – sono chini sui libri a studiare Medicina in rumeno (9.400 euro la retta annuale) dopo avere fatto un corso intensivo di 360 ore per imparare la lingua (altri 2.200 euro). Qualcuno scherza: «Il rumeno? Pieno di u, come il dialetto siciliano». Hanno sostenuto anche loro una test di accesso, ma i 50 posti disponibili erano di poco inferiori al numero dei concorrenti: 54. Lezioni intensive, dal lunedì al sabato dalle 9 alle 17, soltanto un’ ora di pausa per un panino, «e se tardano quindici minuti scatta l’ assenza», racconta Luigi Petralia, docente di Fisica in pensione, uno dei quattro tutor volontari. È lui a mostrare le attrezzature. Più di cento microscopi, rilevatori di allergie, vortici, elettroforesi, una centrifuga refrigerata a 3.500 giri, sterilizzatori a ultravioletti, modellini di scheletri, perfino un lettino ginecologico.
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Gli studenti: entusiasti Gran parte degli studenti sono arrivati qui dopo avere tentato invano il test di accesso a Medicina nelle Università italiane. Ma ora sono sinceramente, spassionatamente, entusiasticamente soddisfatti. «Ho tentato il test a Catania – racconta Giulio Condorelli, uscito alla maturità con il massimo dei voti – e ho fatto ricorso per un problema formale.
Aspetto la valutazione, ma anche se risultassi idoneo mai e poi mai lascerei questo corso». Gli fa eco la collega Benedetta Lo Valvo: «Si studia moltissimo, gli insegnanti sono severi ma giusti.
Aspetto la valutazione, ma anche se risultassi idoneo mai e poi mai lascerei questo corso». Gli fa eco la collega Benedetta Lo Valvo: «Si studia moltissimo, gli insegnanti sono severi ma giusti.
Ci conoscono uno a uno, in un’ Università pubblica non sanno neanche che faccia abbiamo».
Più che mai adesso, quando il numero chiuso a Medicina è stato espugnato da oltre diecimila ragazzi che hanno vinto valanghe di ricorsi. Tenere il punto sulle quote di ingresso alla professione è sempre più come arginare uno tsunami. Con il retino.
160216 La Stampa crisafulli