Pro Loco Università popolare Leonforte: “Quando l’acqua non c’era”

paesaggio leonforteLunedì 16 maggio all’università popolare il professore Nigrelli ha raccontato l’acqua, quando l’acqua nelle case arrivava solo dentro alle quartare o nei bummuli. I paesi nascevano in prossimità delle foci d’acqua e così fu anche per la Leonforte dei Branciforti. L’acqua che sgorgava abbondantemente nelle campagne di Tavi aveva già permesso l’attività assai prospera dello “stazzuni” ossia dell’opificio di tegole e manufatti in argilla, che in quelle campagne raccoglieva manodopera e acquirenti. Dopo il XVIII secolo il paese crescendo a nord, essendo l’orografia della parte sud acquitrinosa, abbisognava di nuove scaturigini per attingervi l’acqua necessaria al fabbisogno quotidiano e all’uopo erano la fontana della Morte e la Favarotta, che fungevano pure da lavatoi. Il crescente sviluppo urbanistico indusse il principe Ercole, nella prima metà del 700 a reggimentare le acque del Cernigliere, della fontana di Maio, della fontana del Conte e della Lavancazza in un acquedotto che per gravità avrebbe servito il paese fino alla piazza Rotonda o del Mercato oggi Margherita. Questo acquedotto si riversava in una magnificente fontana perfettamente coerente con l’arredo circostante e speculare per beltà alla Granfonte e alle innumerevoli fontane, che accanto alla Granfonte sorgevano. L’acqua di questo acquedotto arrivava fino alla Caddivarizza e al giardinello del principe per sgorgare in ultimo nella Linguazza, fontana dirimpettaia della Granfonte. Già nel 1809 l’alluvione distruggeva ogni cosa però. Un’altra grande opera idrica fu quella architettata da Ferdinando Capra, ma mai realizzata. L’architetto Capra voleva utilizzare le pietre della fontana di Sant’Elena per costruirne un’altra al piano della scuola essendo insufficiente già nei primi del XIX secolo l’acquedotto del principe, ma l’allora Leonforte era stata unificata al resto d’Italia e subordinata per tanto a Catania e Nicosia e dunque imbrigliata nella fitta rete di pastoie burocratiche che necessitavano di molto per non realizzare nulla. Nel 1924 il paese fu interamente irrorato dall’acqua pubblica con l’acquedotto civico, ma la battaglia per la demanializzazione delle acque era iniziata già nel 1908 con i compagni Vitanza e Castro Crimì. “Eppure” dice il professore Nigrelli “l’acqua delle sorgenti spontanee, tantissime in ogni dove, fu raccolta fino a dopo la seconda grande guerra perché non sapeva di cloro, essendo questo obbligatorio per le acque pubbliche, ma spesso mal dosato”.

Gabriella Grasso