Anna a lungo non è riuscita a perdonare e a perdonarsi finchè, dopo molti anni, anche per amore del figlio e del marito, si è rivolta agli operatori di Amnesty che l’hanno aiutata a raccontarsi, per liberarsi, prendere coscienza del baratro che aveva dentro e imparare a riemergere. Ne è nato il romanzo “Anahì del mare”, un’opera atipica in cui la storia e la cronaca ufficiale di quei giorni tragici corre parallela alla vita di Anahì – Anna, si intreccia con quella di giovani, studenti, contadini, operai, sindacalisti, intellettuali, religiosi, guerriglieri, che non si sono tirati indietro e per questo spesso ci hanno lasciato la pelle, sono stati desaparecidos, o, anche se salvati, hanno continuato a portare nel cuore e nella pelle le cicatrici insanabili di quanto subito; il tutto è raccontato con un linguaggio ricco e immaginifico quasi poetico, che, nei momenti in cui può sembrare più enfatico, vuole forse rendere più sopportabile al lettore l’approccio a tanto dolore.
Finalmente dopo tanti anni, nel paesino dal quale i giovani genitori erano partiti in cerca di fortuna, Anna Milazzo vi è tornata in cerca delle proprie radici; lei, che continua a sentirsi un’esule, una sdradicata, “desterrada” – come ama dire nel suo spagnolo mai dimenticato, in cui l’esule non è solo chi è costretto a fuggire per salvare la pelle, ma è soprattutto colui che è stato scacciato dalla sua terra, e che per questo se la sente sempre mancare sotto i piedi. Forse qui, nella sua terra natale, riuscirà a trovare, insieme alle sue radici, sicurezza e fiducia, potrà forse intrecciare i fili della memoria, anche di quella memoria inconscia che ha bisogno di essere illuminata per essere compiuta.
La neonata Università del Tempo libero, che ha posto tra le sue finalità quella di valorizzare le eccellenze locali, ha colto al volo l’occasione della venuta di Anna in Sicilia per proporle un incontro in cui lei raccontasse le sue vicissitudini, quella dei tantissimi italiani e degli aidonesi, ma aiutasse anche a capire la realtà di oggi fatta di centinaia di migliaia di esuli che bussano alle nostre porte e cominciano a trovare muri, siepi di filo spinato, mitragliette, manganelli.
Ma, raccontando le modalità, a dir poco assurde ed inattese, e la facilità con cui nel giro di pochi anni nei paesi dell’America latina si passò dalla democrazia alla dittatura, Anna ci lascia un monito: tenere sempre gli occhi aperti, non permettere che vengano calpestati i diritti di nessuno, non odiare i nemici creati artificialmente dal potere, non voltarsi dall’altra parte per mantenere il proprio quieto vivere. Con la presa coscienza dell’immane tragedia in cui era rimasta coinvolta suo malgrado, è iniziato il suo impegno con Amnesty International, per far conoscere a quanta più gente possibile quanto era accaduto sotto gli occhi distratti del mondo, a evidenziare il ruolo degli italiani, il cui numero nella lista delle vittime è lunghissimo, il ruolo da protagoniste delle donne, quello della chiesa militante, preti e suore, che sono rimasti accanto e in mezzo al gregge, pagando con la vita e subendo, soprattutto le suore, violenze di ogni genere. Chiudo con le parole di Anna “ Riesce a chiudere le palpebre e sognare. Sa di avere sfiorato le rovine, riletto le orme lasciate da lei e da altri, di avere tenuto vivi nella memoria e cullati nei ricordi gli innocenti, i combattenti, i tanti fiori recisi che espandono ancora la loro fragranza”.
Franca Ciantia