Copatrono di Leonforte è San Giuseppe. Le tavolate

Copatrono di Leonforte è San Giuseppe, santo venerato e amatissimo a cui per grazia o voto si “prumetti l’artaru”. Dal primo venerdì di marzo: “lu venniri di marzu è gluriusu” comincia il “traficu” per bandire la tavolata. Si nettano le fave, i ceci e le mandorle con le “ciappedde” fra canti e preghiere, fra sussurrate “murmuriatine: panse e corna” non mancano di serpeggiare fra cardi e polpettine di finocchi in pastella e stentorei plausi alla padrona di casa che col voto si è legata al santo, umiliandosi con la questua e sfacciandosi con parenti e amici e a ogni modo nessuno può rifiutarsi salvo incappare nell’offesa del santo. Sono le donne le sacerdotesse dell’artaru coadiuvate dagli uomini, orgogliosamente marginali in questi momenti. La chiesa di san Giuseppe nasce nel 600 con l’avvento dei padri Cappuccini che fissarono a loro dimora un ospizio con una chiesa dedicata al santo. La tavolata nella vulgata popolare mischia saperi pagani a sentimenti cristiani in un crogiolo di simboli e credenze e allora la cornucopia del dio Crisa si riversa di primizie sulla tavolata e la tavolata si fa “cunsulu” ossia cibo di conforto per la vedova Maria. La tavolata è offerta di cibo ai più bisognosi ma anche ricordo nei contenuti e nella prossemica dell’ultima cena che si farà a mezzogiorno di giorno 19, quest’anno 18, per ragioni di calendario liturgico, per non sovrapporre San Giuseppe alla prima domenica di quaresima. L’artaru è un altare e la casa che lo ospita è per ciò un luogo di culto e preghiera al punto che mai la si lascia incustodita, specie dopo che sulla tavola si sono poggiate le “cuddure”. L’artaru verrà benedetto dal prete a mezzogiorno di giorno 18, quest’anno 17, e per questo ogni cosa è a sua volta benedetta. Le cuddure sono il centro dell’artaru, sono pani agiografici, sono il vangelo vivo e popolare. Le cuddure variano numericamente da un minimo di tre a un massimo di tredici. Le cuddure di Gesù, della Madonna e di San Giuseppe non devono mai mancare. La cuddura racconta il santo che rappresenta con i simboli che la ornano. I segni del Signore sono quelli della Passione: la Croce, la corona di spine, i chiodi, il martello e la scala. I segni della Madonna sono: l’anello e il Rosario; quelli di San Giuseppe: la “coffa” ossia la sporta con gli attrezzi del lavoro: l’ascia, la sega, e il martello. Le cuddure si differenziano in alcuni dettagli dunque ma portano tutte alcuni simboli allusivi della Scrittura: la colomba, la stella, la mela e la pera, che ancora mescolano simbologia atavica a luoghi cristiani. La cuddura stessa è la corona offerta alla divinità. Di certa derivazione cristiana è l’Ostensorio sempre di pane e il bastone fiorito di San Giuseppe. Il pane per i leonfortesi è da sempre motivo di comunione e per tanto pretende il rispetto, il pane si spezza con le mani e se ne cade un pezzettino a terra lo si raccoglie, si bacia e si mangia comunque oppure lo si sbriciola agli uccelli, ma mai, mai, si butta perché è grazia di Dio.

L’artaru di San Giuseppe, di Benedetto La Marca

Vitti ‘n’artaru a gghiri Santa Cruci accussì affrittu, accussì scurusu, senza li veli, senza li cosi duci, ch’era un quatru daveru piatusu…’Nti ‘na ‘gnunata,’ncapu un tavulinu, tra la cira di quattru cannileddi c’eranu du’ finuocchi, un litru ‘i vinu, du’ piattuzza ccu du’ cuddureddi. S’ha dittu mai ‘n’artaru ccu du’ santi? E, sparti, a San Giuseppi cci livaru?! (Chi ficiru, stunaru tutti quanti?) “ Signuri, a San Giuseppi su scurdaru?” E ‘dda mischina, accucciannu cc’u scialluni un urfanieddu cchiù giarnu di la crita: “Di ‘ssa porta-mi dissi- l’autru luni, nisciu lu San Giusè di la mè vita…” Fori chiuvìa; l’acqua pridicava. Sutta ‘n’arcu, a riparu di lu vientu, c’era ‘na cumpagnia ca cantava li noti piatusi d’u lamientu.

Gabriella Grasso