Università popolare Leonforte: “Lotte contadine”

La terra è sempre stata motivo di conflitto per le genti affamate. L’agricoltura nella Sicilia del secondo dopoguerra costituiva l’occupazione principale per il 65% della popolazione attiva. La terra era però soggetta a malannata e al latifondista che spesso al mezzadro lasciava solo gli occhi per piangere. Queste le premesse della lezione di lunedì 15 maggio, interamente incentrata sulla riforma agraria. Dai fatti di Portella della Ginestra si è passati al feudo Altarello, atto conclusivo delle lotte contadine a Leonforte.
Era l’autunno del 1950 quando il governo Segni varava la legge di riforma agraria che avrebbe dovuto risolvere la questione meridionale intervenendo e tecnicamente e economicamente sul medievale sistema dell’enfiteusi. Leonforte “la rossa” contava innumerevoli tesserati Federterra che al grido di “la terra a chi lavora”, “basta col latifondo”e “riforma agraria” organizzavano l’occupazione dei feudi di Elbavusa, Scavo, Montagna di Mezzo, Petrale e Altesina. Le riunioni si tenevano nella Camera del Lavoro che allora era situata nei locali dell’attuale farmacia Castrogiovanni. Dopo estenuanti lotte, sotto lo sprone del deputato regionale Potenza, si giunse a un “enfiteusi collettiva” stipulata con il rappresentante sindacale e il Duca di Misterbianco, ma le conquiste erano poca cosa per le innumerevoli bocche da sfamare e per tanto si passò all’occupazione del feudo Altarello. 135 furono gli arrestati dalla Celere di Catania. 135 a dorso di “scecchi” e armati di zappe, accerchiati dai celerini di Scelba che provvide a far arrestare anche i manifestanti riunitesi nel luogo del primo arresto. 15 furono i fermati “per resistenza” fra cui Giovanni Carosia e Nino Travaglia, figlio di Peppinu l’’Uorbu. Il preside Nino Proto testimone dei fatti fu protagonista di oltraggio alla Corte per mani in tasca, racconta il professore Nigrelli. Dopo 47 giorni di prigionia, uscendo dal carcere, i comunisti intonarono l’Inno dei Lavoratori. Una parola sul segretario generale della Camera del Lavoro, Calogero Sirna. Sirna accusò, in quegli anni di imperialismo ‘miricano, lo zio Sam per aver mandato in Italia la farina bianca senza crusca. Sull’autarchia fascista e la campagna del grano si è accennato relativamente ai populismi e all’insensata politica di chiusura o exit.

Gabriella Grasso