Leonforte arde di caldo e di fiamme dolose e dolenti

Leonforte. Dopo il parco urbano, che mai tale diverrà, è toccato all’uliveto presso il Ferro-Branciforti-Capra.
Dispiace.
Intanto si discorre sul come utilizzare l’Ecomuseo, fuori dall’Ecomuseo. L’area tavachina: Ecomuseo-Fontana delle Ninfe – Granfonte; circondata di aranceti, casuzze sgarrubate e cuticchie è un angolo di memoria e di bellezza. La storia di Leonforte muove da quelle “assine” e da quei canali. Odori e voci e cunti di un paese che fu e che ora stenta ad essere lì persistono e per non perderli un gruppo di “schiffarati” si è mosso. Il gruppo, sedia munito, si è interessato alle sorti di un quid fatto e definito ma poco, assai poco, fruito. Al fine di ridestare l’amministrazione dal sonno dell’indolenza estiva, gli schiffarati hanno levato in alto parole e idee, ispirandosi ad antefatti di certa caratura. “Lo vendiamo l’Ecomuseo?” Si sono provocatoriamente domandati gli schiffarati e fra le mille e mille pinsate, sul come e sul perché, affittarlo –non venderlo- sembra a ora la sola cosa fattibile. Per ciò si è stilato un annuncio che fra a celia e la “liscia” fa così:
A.A.A. Affittasi ampio locale in zona storica per compleanni e matrimoni, per discussioni e defezioni, per dispute e riconciliazioni. Prezzo modico e comunque trattabile.
L’Amministrazione offre gratuitamente l’acqua, da bere direttamente dai cannoli della Granfonte e le arance, del giardino delle Ninfe, al tempo delle arance ovviamente. I fruitori dovranno decantare odi in endecasillabi sciolti a tema “tutto è bello, tutto è buono” prima di accingersi al banchetto e ramazzare il dentro e il fuori l’Ecomuseo con solerzia nordica, dopo. Visto il recente successo della cessione di Villa Bonsignore gentilmente raccattata da privati assai motivati perché non provare con l’Ecomuseo? Qualora funzionasse si potrebbe estendere l’esperimento a Porta Garibaldi, alla Galleria d’arte Barbera, al palazzetto dello sport e alla strada d’accesso a Villa Maria.

Gabriella Grasso