Dottore Crimì ci racconti la Venere di Leonforte, che è parte di un bassorilievo posto dietro la Granfonte.
“La Venere di Leonforte è un chiaro rimando alla fertilità del territorio e per questo di recente vi si è celebrato il rito della luna di miele, auspicio di gioia e nuova vita. Un rito che potrebbe diventare una tradizione per i futuri sposi e che permetterebbe di vivere un angolo di paese spesso ignorato.
Cos’è il rito della luna di miele?
E’ un’antica usanza dei popoli del mediterraneo che consiste nel far bere dell’idromele e mangiare il miele. Da qui il termine luna di miele. Per luna di miele si intende il primo mese vissuto dalla coppia con dolcezza. Ma il miele sta a simboleggiare anche altro. Simboleggia il nutrimento, la fertilità e l’ essenza. Nutrimento perché le api si nutrono e nutrono le api più piccole di questo nettare. Fertilità perché il miele viene prodotto in primavera, ovvero quando c’è l’esplosione della vita. Essenza perché viene estratto dalla linfa di ogni fiore. Quindi, nutrirsi a vicenda, prendersi cura dell’altro. Crescere insieme per portare frutti e vivere di essenza di se stessi e dell’altro.
Questi tre elementi si ricollegano con la Sicula Tempe ed in particolare con la statua della Venere che simboleggia la natura intesa come amore, bellezza e fertilità”.
“Si potrebbe esporli in un museo. Il mascherone è uno dei tre che decoravano lo stipite della seconda porta della Sicula Tempe, quella insistente sulla filanda così come si evince dalla lista del 1651 sulle spese effettuate dal principe. La porta aveva anche uno scudo araldico, la scritta placido placida e altri rilievi. Per chi vuole approfondire può consultare l’ottimo lavoro del professore Nigrelli sui manoscritti del 700LEONFORTE. Il La Magna racconta di dodici mascheroni. Dodici come i dodici venti che soffiavano su Leonforte”.
Dov’è attualmente il mascherone?
Gli agenti del commissariato di polizia lo hanno posto sotto sequestro e la Procura di Enna ha aperto un’inchiesta a carico di ignoti per ricettazione e violazione del decreto Urbani sui bene archeologici.
Quante fontane c’erano?
“Moltissime fra fontane monumentali e abbeveratoi. L’acqua era ed è la ricchezza del paese. Il principe lo capì e in quella parte del paese volle collocare il suo manifesto regale. Le industrie che a sud della Granfonte nacquero e le coltivazioni cerealicole dimostrarono la validità dell’intuizione principesca”.
Oggi prodotti di pregio come la pesca e la fava larga raccontano ancora un potenziale poco sfruttato
“L’agricoltura e la valorizzazione di un patrimonio archeologico trascurato potrebbero ridare al paese una buona opportunità”.
Quanto del patrimonio archeologico è andato perso?
Ancora settanta anni fa molto c’era. Come lo si potrebbe recuperare?
Colmando l’ammanco di documenti e studi. La disattenzione generale ha portato all’impoverimento di tutto il paese.
A breve Leonforte celebrerà San Giuseppe, sarebbe possibile offrire ai paesani e ai forestieri un percorso di riscoperta monumentale, enogastronomico e delle tradizioni a partire dal “traficu?”
“Certo. Occorre fare rete. Io ho proposto la creazione di souvenir leonfortesi a esempio.
I mercatini artigianali potrebbero puntare su questo e su tutto quello che racconta la storia di Leonforte negli oggetti e nel cibo”.
Grazie dottore Crimì
Gabriella Grasso