Tavolata di San Giuseppe: le Cuddure

Continua il percorso nelle Tavolate leonfortesi.
Domenica 18 marzo a Leonforte si “gireranno gli altari di san Giuseppe”. Le strade abitualmente poco frequentate dal passeggio pedonale si riempiranno di visitatori forestieri e paesani, animandosi di voci e canti di lamento. Sulle tavolate accanto alle primizie e ai dolci di mandorla si vedranno le cuddure ossia i pani agiografici. La cuddura racconta il vangelo e il santo che rappresenta attraverso i simboli, specifici e universali a un tempo e pretende per ciò la veglia e la preghiera. Sulle cuddure Gaetano Algozino ha condotto uno studio pubblicato nel 2007 col titolo di “Panis Symbolicus” che, arricchito di traduzione inglese a cura di Kinga Radwan, foto di Sigismondo Novello e disegni di Claudio Benintende uscirà nuovamente entro la fine di quest’anno. Sulle ragioni dell’opera abbiamo chiesto a Gaetano.
“Questo lavoro nasce da passione e ragione. Esso è il frutto primigenio di una passione per la ricerca antropologica sul campo, nata come necessità scientifica e dovere di trasmissione, ma è anche espressione di una “Ratio” ordinatrice che ha generato connessioni e percorsi ermeneutici imprevisti”.

Come vive la tradizione lontano dal paese un migrante italiano?


“La lontananza dalla Sicilia ha alimentato questo desiderio convogliandolo in più dettagliate osservazioni storiche, antropologiche, artistiche, teologiche e letterarie. Si sa che gli oggetti osservati a distanza assumono una forma nuova, direi quasi insperata. A contatto con ambienti culturali stimolanti e aperti come Milano e Londra,quello che poteva costituire uno sterile esercizio di compilazione storica locale, si andava trasformando inaspettatamente, giorno dopo giorno, in uno studio appassionante di simbologia comparativa di tendenza semiotica”.

Da dove è nata la curiosità per le cuddure?


Il principio di tutto è stato l’osservazione attenta della sapiente arte di confezionare le cuddure, attinta tramite la frequentazione assidua di una teste eccezionale della tradizione leonfortese che è Nunzia Potenza. Oltre che esperta nell’arte di impastare e confezionare le cuddure, Nunzia è una sorta di Sibilla affabulatrice capace di evocare storie antiche tramandate oralmente come segreti di generazione in generazione. La mia persistente, a volte inopportuna, richiesta di dettagli su ogni simbolo o forma più insignificante delle cuddure è stata pienamente esaudita nella sua operosa pazienza e gentilezza, sicché gran merito va a Nunzia, che ha costituito la fonte principale di questa ricerca pluridecennale”.

La sola tradizione orale è però labile e dunque l’appiglio documentale e archivistico è necessario.


“A me è bastato questo codice per illuminare un percorso, che so essere foriero di nuove scoperte e di infinite integrazioni ed interpolazioni. Le tradizioni popolari, per usare un’espressione troppo abusata, sono entità “liquide”, frammentate in sub-sistemi e prive di centri propulsivi di produzione del senso chiaramente circoscrivibili e identificabili. Quest’assenza o mancanza di centri propulsivi è ciò che ha reso, in fin dei conti, più affascinante sia la ricerca sul campo che l’esercizio ermeneutico di comparazione. Il codice-cuddura considerato alla stregua di un artefatto cerimoniale di natura simbolica, panis symbolicus appunto, è stato oggetto di analisi interpretative, decodificazioni, esegesi e comparazioni non tanto per puro diletto di esercizio retorico quanto per la globale comprensione del suo complesso e ardito linguaggio. Comprensione che acquista una luce nuova solo se orientata e guidata da una fruttuosa contaminatio di stili e direttrici di ricerca”.

Da un minimo di 3 a un massimo di 33 cuddure si possono trovare sulla tavolata, evidentemente il rimando è alla Trinità, che sull’altare è una costante: negli scalini, tre uguali e distinti, negli spicchi d’arancia, uniti e separati al contempo et similia. Ha catalogato tutte e 33 le cuddure?


“Si. Allo sforzo di “catalogare” le 33 cuddure entro uno schema chiaro, comprensibile e trasmissibile, ha fatto da supporto necessario, quasi ineludibile, l’immagine. La cuddura, così come concepita dalla mente e realizzata dalle mani di Nunzia, diventa codice simbolico e immagine rappresentabile. Il termine pratico del mio lungo percorso di ricerca è quello di garantire un futuro alla cuddura, mediante una complessa operazione di trasmissione del suo raffinato codice simbolico che potrebbe concretizzarsi nella riproduzione in esemplari di pietra. E’ questa un’operazione che, lungi dalla cristallizzazione del codice-cuddura, lo renderebbe più plastico e osservabile riportandolo quasi alla sua originaria natura di “scultura”. Perché di vere sculture su tratta, seppur di pane. Le parole del filosofo polacco L. Kolakowski, poste quasi a suggello di questo lungo percorso di ricerca, rendono onore alla forza conservatrice della Tradizione, senza la quale non si da sopravvivenza dell’homo sapiens e di tutto il suo apparato di codici e simboli. “È vano chiedersi come l’ordine sacro imposto alla vita profana possa essere mantenuto senza che ne sia mantenuta la Forza Conservatrice”.

Grazie Gaetano.


Gabriella Grasso