Fischietti e religiosità popolare in occasione della festa di San Filippo

Fischietti e religiosità popolare in occasione della festa di San Filippo: i santini sonanti che davano significato religioso e funzione ricreativa della festa nella comunità aidonese, dove gli artigiani, verosimilmente calatini, spinti da motivazioni economiche, vendevano i fischietti per l’occasione.

Aidone. “Incantesimo, gioco, inconsapevole richiamo propiziatorio si addensavano nel fischio, senza modulazioni”, che, ancora negli anni sessanta, ad Aidone, “ i bambini emettevano da un modesto fischietto di terracotta, fischiando imperterriti, sino a quando, da lì a qualche giorno, un gesto irritato dell’adulto o uno maldestro dello stesso bambino avrebbe provocato la fatale caduta del fragile giocattolo”. La perdita del fischietto diventava, per quell’anno, irreparabile: “bisognava rassegnarsi ad attendere, nella primavera dell’anno successivo” la festa di San Filippo, in occasione della quale gli artigiani calatini, in improvvisate bancarelle, “esponevano la loro colorata e sibilante merce”. I fischietti in terracotta non hanno trovato ampia considerazione né nella letteratura sugli strumenti musicali, né nelle monografie sull’artigianato in terracotta.
In varie parti d’Italia, prima dell’avvento della plastica, si vendevano per pochi soldi, durante le feste, dei piccoli strumenti in terracotta che i bambini fischiavano allegramente e che erano destinati a rompersi, a perdersi, o semplicemente ad essere dimenticati già del giorno dopo. E viene da chiedersi perché venivano suonati? E perché dai bambini e non dagli adulti? “Questo giocattolo aveva il solo scopo di aggiungere il suo chiasso al chiasso della festa o nascondeva scopi e significati più reconditi, chiari nel passato, ma via via affievoliti”. Nei secoli scorsi le figure sonanti erano giocattoli apprezzatissimi. Essi erano “regalo d’uso da portare da fiere e sagre, come la festa delle figure e delle bambole nell’antica Roma il 21-22 dicembre al termine dei Saturnali”. Il fischietto era un pezzo forte dell’artigianato ceramico sul piano del folclore. Si può dire, anzi, che era un pezzo unico non privo di un valore apotropàico se è vero che, presente sulle bancarelle degli stovigliai i giorni per la festa del Santo, “ai primi segni della primavera incipiente, in mano ai ragazzi serve con il suo sibilo ora stridulo ora acuto ad allontanare i tristi umori e l’atmosfera uggiosa dell’inverno”. Di antichissima produzione, il fischietto ha una sua ricca gamma di forme ispirate a soggetti profani e religiosi, più numerosi questi che quelli, limitati a pochi soggetti: “il carabiniere in grande uniforme, l’omino sull’asino, venditori e contadini con ceste colme di frutta, soggetti tratti dal quotidiano vissuto d’una civiltà a carattere agricolo e artigianale”.
Più numerosi, invece, quelli di ispirazione religiosa, legati ai riti pasquali, propri della primavera: “la Madonna addolorata in veglia su Cristo morto, Cristo risorto, la Madonna in veste azzurra e manto rosso in segno di giubilo per la Resurrezione del Figlio”. Non mancavano i santi locali più popolari e quelli venerati nei centri vicini, particolarmente San Filippo di Aidone, “tutto nero con la sua bella fascia rossa a tracolla e il Vangelo in mano”. Realizzato in terracotta colorata a freddo con tonalità squillanti su un bianco di fondo, il fischietto era il giocattolo di rito per i bambini assieme con la “cubaita” e la “giggiulena”.
Ma l’importanza dei fischietti, più che alla perfezione acustica, era riferita alla loro forma plastica, al suono che diventa immagine. Ora il fischietto si usa di meno, ma piace ai cultori di tradizioni popolari che ne fanno raccolta.

Nino Costanzo