Leonforte. “Mamma li Turchi”

L’università popolare di Leonforte lunedì ha conosciuto la chiesa della Mercede. Il professore Nigrelli ha, da par suo, raccontato la chiesa dei mercedari. L’ordine fondato a Barcellona il 10 agosto 1218 da Pietro Nolasco con lo scopo di liberare i prigionieri cristiani: i captivi fatti schiavi dai musulmani durante le perenni scorribande nel mediterraneo. I mercedari ai voti di obbedienza e castità unirono anche quello di redenzione, mediante il quale si impegnavano a sostituire con la loro persona i prigionieri in pericolo di rinnegare la fede. Nel 500 la Sicilia fu corredata da torri di avvistamento perché i piccoli centri erano facilmente depredabili e a Palermo periodicamente veniva pubblicato il catalogo dei prigionieri a uso dei parenti che desideravano riscattarli. Era prassi, capitò anche che nel 1558 un vescovo catanese in viaggio per Trento venisse catturato presso le eolie e in seguito all’intervento dei mercedari liberato. Espressioni come “mamma li turchi” risalgono a quei tempi e a quelle guerre naturalmente anche i cristiani catturavano e depredavano anzi il fanatismo religioso era assai più intransigente presso gli eserciti crociati che fra i musulmani. Dopo la scomparsa della schiavitù i mercedari si specializzarono nell’insegnamento e nell’apostolato missionario e dopo il concilio Vaticano II nel contrasto alle nuove forme di schiavitù sociale e politica. La chiesa della Mecede fa parte della seconda ondata di edilizia religiosa leonfortese, risale infatti al 1745. La data 1689 riguarda un primitivo oratorio realizzato dai confrati con il sostegno dei Gussio che vi imposero tre preti, due fratelli ed un nipote. La chiesa è contestualizzata al quartiere e la facciata sormontata dal campanile a vela è addobbata dai simboli dell’ordine riproposti anche all’interno, dove prevale il bianco. Bianche le colonne e le decorazioni in gesso secondo la moda del Serpotta, il celebre scultore palermitano. Bianche sono anche le due Virtù a guardia del Sancta Sanctorum. Sull’arco trionfale solo i due gruppi scultorei sono di diverso colore: il Sacro Cuore e la Mercede con san Pietro Nolasco e il captivus. I quattro altari decorati di vetro come marmo sono stati mal restaurati e solo uno di loro è ancora integro. Interessante artisticamente è la statua di san Michele Arcangelo sul cui scudo si legge il grido di battaglia: “Quis ut Deus?” o “ mi Kha El ” (El è l’abbreviazione di Elhoim/ Dio che per gli ebrei non può essere trascritto per intero) cioè “Chi è come Dio?”di Stefano Li Volsi, artista nicosiano del 600, ma curiosa assai è quella nascosta dell’Ecce Homo di Baia. La statua realizzata dall’artista locale non trovò l’approvazione dei paesani. Abituati all’icona cinematografica, i leonfortesi non apprezzarono quel Cristo dal volto rude e sbigottito, dalle fattezze contadine: troppo indigene e troppo poco zeffirelliane. La statua venne riposta immediatamente eppure oggi suscita ancora curiosità. La lezione è stata apprezzata dai molti presenti guidati dal professore Nigrelli e dai confratelli della Mercede, chiesa poco conosciuta anche dai leonfortesi.

Gabriella Grasso