Iniziato con il rito della “Scisa ‘a cruci” il Venerdì Santo a Gagliano

Gagliano. Si è ripetuto il rito del Venerdì Santo, che da secoli conserva tutta la sua forza emotiva. La tradizione è gelosamente custodita dagli anziani e rinverdita dai giovani. Si comincia con il rito della “Scisa ‘a cruci” in Chiesa Madre, durante il quale Gesù viene deposto dalla croce e adagiato nella bara di vetro che, al termine della funzione religiosa, verrà trasportata in processione. All’imbrunire comincia lo struggente corteo dei quattro antichi simulacri, raffiguranti le fasi della Passione di Cristo: la flagellazione, la crocifissione e la deposizione, accompagnati da Maria Addolorata. Ciascun simulacro esce da una chiesa diversa per incontrarsi con la Madre. Tutti insieme, poi, procederanno, con un incedere barcollante, per le vie del centro, in un’atmosfera di struggente silenzio, rotto solo dal lamento dei cantori del Popolomeo e dai colpi funesti di un tamburo. Le quattro statue sono portate a spalla dalle confraternite che indossano tuniche bianche e mantelline colorate. I canti popolari, “Popolo Meo”, “Cianci, cianci Maria” e “’A Simana Santa”, tramandati di padre in figlio, un tempo venivano intonati per tutto il periodo di Quaresima. Al termine della processione, l’arciprete grida dal pulpito, alla piazza gremita di fedeli, parole forti, che inducono i fedeli alla riflessione.
L’ultimo atto è l’addio che la Vergine Maria, avvolta nel suo manto nero, con una spada che le trafigge il cuore e le lacrime scure che le rigano il volto pietoso, dà al suo Figlio amato. Uno dopo l’altro, i simulacri si avvicinano alla Madre per scambiarsi un commovente inchino e, quando ciascuno dei tre: il Cristo alla colonna, il Crocifisso e la bara, riprendono la strada del ritorno nelle loro chiese, anche l’Addolorata, rimasta da sola nel suo sconforto, fa ritorno nella chiesa Sant’Agostino, accompagnata dall’inconsolabile pianto dei cantori. Le fiaccolate davanti il portone d’ingresso, che rappresentano il fiume di lacrime versate, chiudono l’angosciante e suggestiva giornata di lutto.

Valentina La Ferrera