Appalti truccati al Provveditorato lavori pubblici, 4 arresti. Nel mirino appalti ad Enna, Barrafranca, Centuripe e Villadoro

Alcuni appalti del Provveditorato interregionale opere pubbliche sarebbero stati truccati. La denuncia di un imprenditore ha fatto scattare un’indagine e un blitz della squadra mobile, coordinati dalla procura di Palermo. Quattro funzionari sono stati arrestati: Carlo Amato, Francesco Barberi, Antonio Casella e Claudio Monte. Altri due funzionari sono stati sospesi per un anno, otto gli imprenditori raggiunti da un’interdittiva, per un periodo non potranno contrarre con la pubblica amministrazione. Al centro dell’inchiesta, un’associazione a delinquere finalizzata alla concussione. Gli accertamenti disposti dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Giacomo Brandini, Pierangelo Padova e Maria Pia Ticino hanno fatto emergere un sistema ben rodato di mazzette nel cuore della macchina che gestisce appalti a tanti zeri per manutenzioni e ristrutturazioni di uffici pubblici.
“La denuncia dell’imprenditore è stata il punto di partenza – dice Rodolfo Ruperti, il capo della squadra mobile – le indagini hanno svelato il sistema che controllava diversi appalti pubblici”. Già nel dicembre del 2017, la procura aveva disposto delle perquisizioni negli uffici del Provveditorato, la sezione Anticorruzione della Mobile aveva sequestrato documentazione riguardante alcuni lavori fatti a Palermo e provincia: al padiglione 18 dell’Università di viale delle Scienze, in un dipartimento di via Archirafi, in un appartamento delle forze dell’ordine (zona via Giusti) e poi ancora alla caserma dei carabinieri di Capaci. Sotto osservazione quattro lavori a Enna: per la sistemazione di alcuni immobili dei vigili del fuoco, dell’Agenzia delle Entrate e della caserma della polizia intitolata al commissario Boris Giuliano; sospetti di mazzette anche sulla ristrutturazione della Chiesa di San Benedetto, nel Comune di Barrafranca. Sequestrata pure la documentazione che riguarda le scuole “Ansaldi” di Centuripe ( Enna), “Luigi Pirandello” di Villadoro (Nicosia), “Piraino” di Casteldaccia e “La Pira” di Sant’Alfio (Catania).
Un’indagine nata dal coraggio di un imprenditore edile, che si era aggiudicato i lavori per la ristrutturazione di una scuola elementare in provincia di Palermo: si è rifiutato di pagare le mazzette sollecitate da alcuni dipendenti pubblici. Davvero non ha avuto dubbi sul da farsi. E si è rivolto alla polizia, raccontando pressioni e minacce più o meno esplicite. I funzionari avrebbero preteso pranzi, cene, regali e naturalmente denaro, per migliaia di euro. L’inchiesta ipotizza “un sodalizio criminoso allocato presso gli uffici del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Sicilia e Calabria”. Avevano inventato la “mazzetta rimborsata”. Ovvero, l’imprenditore pagava il funzionario corrotto, che poi provvedeva ad aumentare le somme previste per l’esecuzione dell’appalto. Così, appunto, la vittima veniva rimborsata. Attraverso generosi stati di avanzamento dei lavori, oppure perizie suppletive. Insomma, alla fine della fiera, i costi della corruzione gravavano sul cittadino e sulle casse pubbliche. E gli appalti costavano sempre di più, inutilmente. L’espressione chiave di molti lavori gestiti dal “sistema” finito sotto accusa era una sola: cottimo fiduciario. La legge prevede procedure semplificate per gestire lavori più piccoli o da fare in urgenza. E, spesso, la semplificazione non è sinonimo di trasparenza.

by Repubblica