Musicabile all’università popolare di Leonforte

Leonforte. Lunedì 6 maggio l’università popolare ha ospitato il team “Musicabile”. La vicenda di Manduria aveva suscitato il bisogno di capire cosa avesse spinto una comunità a ignorare le reiterate vessazioni su un disagiato e cosa avesse inteso dire il presidente Musumeci nell’aprile 2018 con: “È colpa del governo Musumeci se per poter assistere i disabili gravissimi servono 220 milioni di euro? Se non ci fossero stati i disabili gravissimi, molte famiglie non avrebbero dovuto subire un colpo in fronte e noi avremmo potuto disporre di qualche decina di milioni in più per collocarli in settori attualmente carenti di disponibilità finanziaria”. “Siamo handicappati, non cretini” risposero in molti perché cretino è chi non capisce la differenza inculcando, per paura, l’odio sociale. La pulizia etnica di Hitler cominciò con l’operazione Aktion T4 ossia con l’eliminazione di oltre 70.000 vite che non meritavano di essere vissute e il disprezzo per chi percepisce reddito senza produrne oggi è lapalissiano. Il progetto Musicabile vuole denunciarne il pericolo cantando l’inclusione. Il maestro Giuseppe D’amico ha messo in musica la differenza arricchente e socialmente e culturalmente; il videomaker Alberto Maria ha curato la regia e le voci di Silvio Benintende e di Filippa Iraci Sareri hanno cuntato l’altro. Un gruppo di attori non professionisti ha recitato la realtà possibile, necessaria per contrastare l’indifferenza che consuma e distrugge. La lezione è stata aperta dal racconto di Silvio Benintende, che ha ricordato come la “vanedda” di una volta formasse il cittadino. Nel gioco c’era la competizione e nei giochi di quartiere c’era anche la tattica militare: le alleanze fra “santacruciari e chiddi da chianotta” assicuravano la vittoria, ma vittoria sicura ci sarebbe stata solo se avesse giocato Turi. “Turi era forte, forte in ogni cosa: nella corsa, nella “truzza” nel salto. Turi era bravo era il più bravo di tutti. Il giorno della Madonna successe che Turi “niscì” vestito a festa. Aveva la giacchetta nuova e una mano di legno. Turi aveva perso la mano per colpa di un residuato bellico, ma nessuno di noi l’aveva mai capito. Quella protesi ci spinse a vederlo con occhi diversi. Tri divenne diventò un handicappato ai nostri occhi e da quel momento noi “sani” cominciammo a trattarlo come un “difittusu” impedendogli di fare quello che prima faceva e faceva bene. Turi non tollerò questo cambiamento a andò via, di lui non seppi più nulla. Capii e capimmo però che la diversità è negli occhi di chi guarda. Turi ci aveva dimostrato che poteva fare e fare bene se solo ne avesse avuto la possibilità, ma il limite mentale di chi pensa all’altro come a un malato è spesso invalicabile” perché “stupido è chi lo stupido fa”.

Gabriella Grasso