Leonforte. L’Infinito all’Università Popolare

Duecento anni orsono, forse in primavera, il ventunenne Giacomo Leopardi completava L’infinito, quindici endecasillabi sciolti destinati a diventare tra i brani più celebri della letteratura italiana. Di questo si è parlato lunedì sera all’Università Popolare. La lezione tenuta dal professore Vanadia ha sviluppato il senso dell’assoluto nella finitezza dell’umano.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Leopardi volge lo sguardo ad elementi paesaggistici a lui familiari, che gli provocano una profonda riflessione sui misteri dell’esistenza. Gli elementi naturali protagonisti nei primi versi sono un colle, una siepe che interferisce con  lo sguardo. Pochi elementi che permettono all’autore di riflettere su spazio e tempo, su passato e presente e il loro infinito dilatarsi che lo pone piccolo di fronte alla grandezza di questi elementi. Verso dopo verso lo sgomento lascia spazio alla dolcezza, con le riflessioni “infinite” che diventano modo per l’autore di trovare il significato del suo passato e del suo presente. I limiti di Leopardi diventano quindi un’opportunità per andare oltre, usando la propria immaginazione. Un’esperienza personale ed intima a cui il poeta di Recanati si abbandona nel “naufragar m’è dolce in questo mare.” L’Università Popolare ha chiuso così il 2019 e nell’augurare buone feste aspetta tutti gli interessati il 13 di gennaio per discutere di poesia, storia e paesanità nel Paese.

Gabriella Grasso