Il testo rilegge in chiave contemporanea un grande classico di Shakespeare: Riccardo III, oggi demone recluso e indomito, che viene qui sottratto al medioevo inglese e diventa abitante del presente, dando vita a una messa in scena che non sarà una pura variazione sul tema ma qualcosa di “meno rassicurante”. L’ambientazione non è quella di un sala da palazzo reale quattrocentesca, ma sul palcoscenico è tutto bianco e verde acido, pareti che ricordano molto da vicino la stanza di un ospedale: un letto, una sedia a rotelle, un grande specchio. Forse ci troviamo all’interno di un ospedale psichiatrico o un manicomio criminale e forse stiamo per assistere a una terapia sperimentale che porterà un paziente ad affrontare gli orrori di cui si è macchiato. O forse siamo proprio dentro la sua mente abitata da incubi e fantasmi. In scena Enzo Vetrano nel ruolo di Riccardo, Stefano Randisi è Lady Anna, ma anche un sicario, Giorgio di Clarence, Buckingham, Edoardo e Richmond, e Giovanni Moschella è tutti gli altri personaggi: un altro sicario, Hastings, Elisabetta, il principino, Margherita, il sindaco di Londra, Stanley.
Dalle note di regia e drammaturgia- «La terapia/psicodramma ha inizio: la corona passa da una testa a un’altra, la ghigliottina si abbatte feroce, le campane suonano a festa o a morto, mentre un corvo si aggira, come se quel luogo gli appartenesse. E soprattutto, c’è un’iniezione che incombe come una spada di Damocle. O piuttosto di Richmond, in questo caso. In un luogo pieno di fantasmi, rivive la vicenda di Riccardo di Gloucester – il malvagio più malvagio, ma al tempo stesso più terribilmente simpatico mai creato dal genio umano – e dei suoi omicidi seriali, ma, al momento del gran finale, giusto un istante prima della morte, Riccardo risorge dai suoi peccati e con il suo ultimo monologo visionario si congeda, accoglie la liberazione che gli giunge non dalla spada di Richmond ma dall’iniezione che gli viene somministrata: sedato, ridotto alla passività.
È l’inizio del recupero o la fine della speranza? È solo questione di tempo oppure quella iniezione è una conquista che permette la liberazione definitiva dal male?
Parafrasando Macbeth e il suo “Tomorrow and Tomorrow and Tomorrow”, a noi resta soltanto un “Forse e Forse e ancora Forse”. L’unica cosa di cui siamo sicuri è che ora il protagonista – dopo aver riconosciuto il sangue versato – è annichilito.
Tutto sommato non è nemmeno così importante essere sicuri chi è il medico, chi l’infermiere e chi il paziente, o se si tratta di diversi criminali coinvolti nello stesso esperimento: sembrano più le due identità di una stessa persona. Uno l’avversario dell’altro.
Quella corona, per cui tutto questo è accaduto, nella storia, in teatro e nella vita, ora giace abbandonata. Sul letto da ospedale o sul palcoscenico: in qualunque angolo di questa stanza dedicata alla somministrazione del dolore. Lo spettacolo è finito. L’unica cosa che può sopravvivere a tutta questa devastazione è solo il Teatro, con i suoi fantasmi. E tutti i suoi illusori forse». (Francesco Niccolini, Stefano Randisi ed Enzo Vetrano)
«Quando più di due anni fa ho iniziato a tradurre e adattare il Riccardo III, un testo e un personaggio che amo alla follia da molti anni, credevo di farlo per una pura scommessa: volevo capire se era possibile mettere in scena quel capolavoro con un attore solo – scrive Francesco Niccolini -. Persi rapidamente la scommessa, ma capii che in tre – invece – non solo era possibile, ma (se fossero stati tre uomini) anche molto divertente. Grazie a Stefano Randisi e a Enzo Vetrano invece ho compreso che questo lavoro aveva ben altro significato che vincere o perdere una stupida scommessa: era, inaspettatamente, il più provocatorio, improbabile ma – permettetemi – convincente appello al diritto all’eutanasia. Anche in Italia. Anche per un uomo malvagio. O semplicemente per un uomo malato che non vuole più continuare a soffrire nel proprio corpo. Dal giorno felice in cui ho incontrato Enzo e Stefano (e per questo non smetterò mai di ringraziare Dimitri Frosali di Arca Azzurra), il testo che avevo scritto è cambiato pochissimo, come raramente mi accade, eppure è cambiato radicalmente: ha trovato in un ospedale psichiatrico la sua collocazione, e nella tragedia di un celebre francese, Jean-Claude Romand, sul quale avevo lavorato più di dieci anni fa per conto della televisione svizzera, un’autentica reincarnazione. Questo Riccardo ha così assunto i panni non solo del mostro, ma anche quelli di un uomo che chiede di essere liberato da un corpo che lo tormenta. La nostra risposta è sì, che è un diritto inalienabile. Lo è per ogni uomo sulla terra, compreso il più malvagio. Ci auguriamo che un giorno sia un diritto anche in questa nostra povera Italia. Qui mi fermo e lascio la parola a uno dei più grandi studiosi di Shakespeare: è appena stato pubblicato in Italia un bellissimo libro sui tiranni nelle tragedie shakespeariane: ovvio che Riccardo III abbia un ruolo fondamentale. Il ritratto che ne viene fatto è notevolissimo… ».
RICCARDO 3. L’AVVERSARIO
di Francesco Niccolini
Liberamente ispirato al “Riccardo III” di William Shakespeare e ai crimini di Jean-Claude Roman regia Enzo Vetrano, Stefano Randisi
con Enzo Vetrano, Stefano Randisi e Giovanni Moschella
assistenti alla regia Lorenzo Galletti, Roberto Aldorasi
scene e costumi Mela Dell’Erba
luci Max Mugnai