All’Università popolare di Leonforte le tradizioni paesane alla luce del coronavirus

San Giuseppe si avvicina e per Leonforte vuol dire: afflusso di turisti e ossigeno per la scarsa economia, ma in tempi di paura da contagio quanti verranno a visitare l’ “artara”? Quanti mangeranno per le “vanedde” senza abluzioni in amuchina? Quanti cancelleranno un appuntamento altrimenti irrinunciabile? Il coronavirus ha risvegliato antiche paura e eterne miserie: l’altro come untore da ghettizzare, la pacifica accoglienza del concetto di “selezione naturale” di vecchi e malati, la facilità di allontanare l’appestato presunto; mostri che sonnecchiano dentro l’uomo colto e civile, così fu per l’Italia del ventennio. L’ebreo era il nemico di sempre il piu’ facile da eliminare per calmare l’ansia della guerra e dell’incontrollabile e oggi quel nemico chi è? A Leonforte le mercerie cinesi hanno, momentaneamente chiuso, perché l’orientale è il capro espiatorio? Un 1 433 783 686 di potenziali vettori di coronavirus? Lentamente e irrimediabilmente stiamo perdendo la nostra umanità o l’uomo è naturalmente nemico dell’uomo? “E la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo” Agamben. Le considerazioni sulla peste di oggi sono state intermezzate da pensieri riguardanti lo sgretolarsi del paese, che perde pezzi importanti per recuperare una miseria. Leonforte è in vendita. Svendiamo tutto a breve anche la Granfonte cederemo per due lire e poi ci resterà solo quella insopportabile arroganza, che ci caratterizza in ogni dove.