Nel libro di Marinella Fiume “Le ciociare di Capizzi” ricostruito un tragico fatto di 77 anni fa

Dove sorgono questioni etiche importanti, non è possibile osservare e rappresentare gli eventi storici in modo neutro disimpegnando le facoltà morali. A pensarla così è Donald Bloxham, docente dell’Università di Edimburgo, che ne spiega la ragioni nel libro “History and Morality”. Neppure a leggere un libro, come quello curato da Marinella Fiume, “Le ciociare di Capizzi”, si possono disimpegnare le facoltà morali e restare neutrali perché, tra i flagelli che imperversano sulla terra e le vittime di questi flagelli, “per quanto è possibile, bisogna rifiutarsi di essere con il flagello”, come esortava a fare il dott. Rieux del romanzo “La peste” di Albert Camus, Il titolo del libro evoca il titolo del romanzo “La ciociara” di Albero Moravia e dell’omonimo film che ne trasse Vittorio De Sica, nel quale la straordinaria Sofia Loren interpreta la mamma di Rosetta, la ragazza che in Ciociaria subisce una violenza sessuale ad opera dei goumiers, soldati algerini, senegalesi, marocchini e tunisini del Corps expeditionaire francais en Italie durante la seconda mondiale. Si stima che, dalla Sicilia fino a Firenze, furono circa 60 mila le donne italiane violentate dai goumiers durante la seconda mondiale. In Sicilia, furono le donne capitine a subirne più delle altre donne siciliane. Non se ne conosce il numero, perché allora non ci furono denunce, ma dalle testimonianze raccolte dal gruppo di ricercatori coordinati da Fiume si deduce che deve essere stato consistente. Di quella terribile settimana tra la fine di luglio e inizio agosto del 1943, vissuta da uomini e donne di Capizzi, si stava perdendo la memoria. L’idea di trarla dall’oblio è di Marinella Fiume, che ne parla nel 2017 a Melinda Calandra Checco in occasione della celebrazione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. In quell’anno, Fiume è responsabile della commissione “Arte e cultura” del distretto della Sicilia della Federazione italiana donne arti professioni e affari (Fidapa) mentre Calandra Checco è presidente della sezione di Capizzi della Fidapa. La violenza fisica e sessuale sulle donne è un triste fenomeno, che si cerca di contrastare in tutti modi ancora oggi. E’ evidente che ad ispirare alla Fiume quell’idea di una ricerca su un evento tragico di quasi un secolo fa ci sia, per dirla alla Benedetto Croce, “un interesse della vita presente che ci può muovere a indagare un fatto passato”, che fa si che “la storia sia sempre storia contemporanea”. Calandra ne parla con le socie della Fidapa di Capizzi. L’idea di Fiume suscita delle perplessità, che le socie capitine della Fidapa superano presto al meglio mettendosi a raccogliere le testimonianze di donne anziane, che quella brutta esperienza l’hanno subita, e di quanti, pur non avendola vissuta per ragioni di età, ne avevano sentito parlare dai genitori anziani. A raccogliere raccolto le testimonianze sono stati: Francesco Sarra Minichello, Giuseppe Vivaldi Maimone, Marinella Fiume (coordinatrice) e le socie della sezione Fidapa di Capizzi (Melinda Calandra Checco, Giovanna Fascetto Sivillo, Santina Fascetto Sivillo, Maria Frasconà Cantalanotte, Maria Prinzo, Maria Luisa Quintessenza, Antonella Russo e Marilena Steccato Vattumè). Arricchiscono il libro i saggi di: Marinella Fiume (“Le marocchinate: le ragioni di una ricerca inedita” e “Ciociare di Capizzi”), Giuseppe Vivaldi Maimone (“Capizzi, estate del 1943”), Maria Pia Fontana (“Una prospettiva psicosociale sugli stupri di guerra. Cause ed effetti delle battaglie sul corpo delle donne”) e di Melinda Calandra Checco (“La storia taciuta delle marocchinate a Capizzi: l’iniziativa locale della Fidapa”). A fare le marocchinate a Capizzi nell’estate del 1943 furono nordafricani, ma gli autori del libro, che è il prodotto di lavoro corale di ricerca, ma – come precisa fin dalle prime pagine Fiume – “il termine non intende assumere decisamente una valenza razzista col fare riferimento alla responsabilità diretta da parte di una sola etnia, quanto piuttosto a un complesso intreccio di fatti culturali, storici e di esplicite responsabilità occidentali”. Secondo Fiume, lo stupro è il prodotto dello stereotipo patriarcale secondo cui la violenza appartiene al maschio e subirla è destino della donna. Lo stupro a danno delle popolazioni civili nei conflitti armati, è uno strumento di guerra. E le donne sono considerate parte del bottino di guerra. Questo era stato promesso ai goumiers. E lo capisce dalla risposta del comando delle forze angloamericane di stanza a Cerami ai capitini che gli chiedevano di porre di far cessare fine le violenze di cui erano vittime le loro donne. Ai capitini fece capire che dovevano vedersela da soli autorizzandoli alla rappresaglia. Cosa che i capitini e le loro donne fecero a modo loro. Gli uomini capitini fecero anche dell’altro, comportandosi da veri uomini: stettero a fianco alle loro donne vittime delle violenze dei goumiers, non le abbandonarono e non le ripudiarono.

Silvano Privitera