Covid. Rischi e responsabilità dei datori di lavoro

Covid. Rischi e responsabilità dei datori di lavoro
di Massimo Greco

 

Fino a quando permane l’emergenza COVID i datori di lavoro pubblici e privati non sono più liberi di decidere autonomamente le modalità di svolgimento delle prestazioni dei rispettivi dipendenti. Infatti, mentre il lavoro da remoto era un ipotesi praticata in percentuali insignificanti fino a qualche mese fa, adesso lo strumento lavorativo, noto come lavoro agile o smart working, mentre si configura una delle modalità ordinarie di prestazione lavorativa, è diventata una doverosa misura prevenzionale. Non a caso, l’ultimo DPCM, tenuto conto dell’evolversi della situazione epidemiologica, invita i datori di lavoro pubblici e privati ad assicurare la percentuale più elevata possibile di lavoro agile. Ciò significa, che i dipendenti che dovranno mantenere la presenza nel posto di lavoro saranno solo quelli che, oggettivamente, non possono assicurare la propria prestazione da remoto. E’ questo l’unico elemento discriminante e non certo, come sta avvenendo in alcune pubbliche amministrazioni, su base categoriale. Si registrano infatti casi in cui risultano esonerati dallo smart working le fasce A e B o i dirigenti o, ancora, alcuni operatori del settore socio-assistenziale. Questi esoneri oltre a non avere fondamento logico – visto che nessuna categoria di lavoratori può ritenersi immune dal contagio -, non trova conforto in alcuna delle norme vigenti in materia. Al contrario, quei datori di lavoro che ritengono di non attivare lo smart working per i propri dipendenti senza una precisa e personalizzata motivazione che dia conto della indifferibilità della prestazione lavorativa, potrebbero trovarsi a dover giustificare la propria decisione per avere esposto al contagio il proprio personale.

Bisogna qui ricordare che in capo al datore di lavoro sussiste un preciso obbligo di protezione della salute psico-fisica del prestatore di lavoro che trova fonte in una norma del codice civile, a tenore della quale “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Corollario di suddetto obbligo è la resposabilità civile e penale in capo al datore di lavoro che non adotta le misure di prevenzione e di sicurezza volte a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, anche tenuto conto di particolari e persistenti situazioni concrete che influenzino il corso dell’attività aziendale (come nel nostro caso, con il diffondersi della pandemia del COVID). Ne consegue che la violazione di questo obbligo comporta il rischio che sia imputata al datore di lavoro la responsabilità di un eventuale contagio di un lavoratore per effetto della frequentazione degli uffici ovvero della diffusione del COVID in considerazione del contatto tra più soggetti presso la sede di lavoro, con la conseguenza che possa essere chiamato a risarcire il lavoratore o i soggetti contagiati per l’eventuale danno patito e a rispondere dei reati che danno origine alla responsabilità penale e amministrativa dell’Azienda.