Enna, omicidio Vanessa Scialfa. Il padre: cercate i complici, riaprire il caso

Riportiamo quanto pubblicato dal Corriere della Sera a firma di Felice Cavallaro in merito agli ultimi sviluppi sull’omicidio della giovane ennese Vanessa Scialfa.
Potrebbe anche essere stato un colpo di piccone malamente assestato per errore da un operaio sbadato. Ma quella lapide fatta a pezzi sul cavalcavia a 15 chilometri da Enna dove nel 2012 fu gettato via il corpo di Vanessa Scialfa, 21 anni appena, fa temere ai suoi genitori che misteriosi amici dell’assassino siano tornati ad azzannare il loro dolore. È il dubbio, «quasi la certezza», di papà Giovanni e mamma Isabella. Mai rassegnati all’ipotesi di un omicidio per gelosia, con «solo» trent’anni di carcere affibbiati a un balordo col vizietto della coca, Francesco Lo Presti, 42 anni. Loro cercano ancora un complice o i complici «perché Vanessa ha pagato per avere visto quel che non doveva vedere». E, come già fatto una prima volta, chiedono la riapertura delle indagini con un avvocato che, intanto, presenterà una nuova denuncia in Procura. Anche perché, dopo averla strangolata nel suo appartamento, Lo Presti ha impacchettato il corpo di Vanessa in un lenzuolo e, secondo la sua stessa ammissione, l’ha trascinata per i quattro piani di un edifico senza ascensore, caricandola da solo sulla sua auto dove il Ris non ha però trovato una sola traccia ematica.
«Il lenzuolo era invece inzuppato di sangue», spiega Giovanni Scialfa, all’epoca usciere al Municipio, altri cinque figli a carico, un’avversione dichiarata per quel bellimbusto che non gli piaceva: «Un allocco, una cosa inutile, glielo dicevo a mia figlia…». Eppure, già allora, lo gridò a gran voce che l’assassino non poteva avere agito da solo, come ripete adesso: «Qualcuno l’ha aiutato a scendere per quelle scale, caricando il corpo di Vanessa su un’altra auto e poi cancellando o omettendo telefonate e messaggi scambiati con un suo amico che lavorava e lavora in questura». Ha deciso di lanciare una bomba quest’uomo che chiedeva «un vero ergastolo» per Lo Presti: «Con abbreviato e attenuanti, fra dieci anni, ce lo vedremo per strada. Ma la magistratura deve tornare a indagare anche guardando dentro la questura. Senza affidare alcuni accertamenti alla Forestale come ha fatto, ma a Carabinieri e Finanza, pur con tutto il rispetto per le guardie forestali».
Rivela dettagli inquietanti, articolati negli appunti da consegnare all’avvocato per invocare la riapertura di un caso che resta un giallo in parte irrisolto: «Quando abbiamo chiesto gli audio delle intercettazioni eseguite subito dopo l’omicidio, ci hanno consegnato dei files risultati vuoti. Uno scandalo. Qualcuno li ha cancellati. Uno scandalo doppio perché di quei documenti si era occupata l’antidroga, dove lavora il poliziotto da noi indicato come amico dell’assassino. Perché non affidare il caso alla squadra omicidi? Ecco la domanda che adesso voglio riproporre ai nuovi magistrati…». Si ferma sul ciglio del cavalcavia di fronte a una miniera abbandonata questo padre che vorrebbe diradare la nebbia dalla rocca di Enna. Analizza i cocci della lapide e non crede alla versione di una picconata casuale: «I cocci sarebbero davanti al piedistallo, non sparsi alle spalle. Né posso fare a meno di pensare a tutti i precedenti…».
E qui i dubbi s’intrecciano. Prima, la morte del cagnolino di famiglia, Romeo: «Trovato impiccato a una tenda di casa mia mentre in casa non c’era nessuno della famiglia e con il veterinario che parla di “evento doloso”». Poi, le statuine della tomba di Vanessa divelte: «È accaduto più volte. Ma la cosa più grave è il ritrovamento di un’agendina e di una scheda telefonica. In tempi diversi lasciate a due passi dalla sepoltura». Un’agendina senza alcuni fogli. E una scheda tagliata a metà. «Se è un modo di zittirci non ci riusciranno», giura il padre di Vanessa alla moglie che ascolta preoccupata. Mentre in questura avviano le indagini. Partendo da un incerto colpo di piccone o, dicono, da un attrezzo meccanico usato per togliere erba dal cavalcavia.