Lunedì pomeriggio, sprofondati nella ghiaia della Villa Bonsignore, gli universitari hanno discorso della “benignità del male” in Dostoevskij. La lezione tenuta dal professore Vicari, autore di saggi riguardanti la letteratura russa del periodo che va dal medioevo al primo Novecento, ha esplorato il tema del Male nei Fratelli Karamazov attraverso la figura dello starec Zosima.
«Lo starets è qualcuno che prende la vostra anima e la vostra volontà e le assimila nella propria anima e nella propria volontà […] al punto di potere alla fine raggiungere, con una vita di obbedienza, la libertà assoluta, cioè la libertà dal proprio “io”, e sfuggire così alla sorte di chi ha vissuto una vita intera senza ritrovare se stesso» scrive Dostoevskij. Starec è un termine russo che si riferisce ai mistici cristiani ortodossi dotati di particolare carisma e seguito.
Il termine non designa necessariamente monaci o religiosi, ma anche contadini o popolani che in seguito a rivelazioni o visioni hanno scelto la via dell’eremitaggio o dell’assistenza ai malati e agli infermi, guadagnandosi la fama di compiere prodigi.
Tali figure sorsero già all’inizio del monachesimo orientale in Palestina, Egitto e Grecia e arrivarono in Russia solo molto dopo. La loro caratteristica fondamentale risiedeva nel seguito che riscontravano nel popolo e nelle classi più agiate: venerati come santi, profeti di Dio o prescelti erano chiamati per sanare contese, consigliare i dubbiosi e guarire i malati. Famoso starec, anche per l’influenza sinistra che esercitò sulla corte dei Romanov, fu Rasputin. Il pensiero dostoevskijano ruota attorno a quattro punti, legati fra loro indissolubilmente: l’uomo, il male, la libertà e Dio. Il filosofo Luigi Pareyson ha scritto che Dostoevskij è ossessionato dalla presenza del male nel mondo.