La tariffa idrica non può conguagliare le “partite pregresse”

La tariffa idrica non può conguagliare le “partite pregresse”

di Massimo Greco

Della legittimità delle “partite pregresse”, contemplate dagli enti gestori del servizio idrico nelle tariffe richieste all’utenza di riferimento, ci siamo già occupati commentando una sentenza del Giudice di Pace di Enna del 2016 (in calce). La questione è ritornata d’attualità con la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17959 del 23/06/2021 (in calce). Il problema è diffuso come diffusi sono i contenziosi promossi dagli utenti per contestare l’inserimento unilaterale di tali voci di costo in tariffa ad opera degli enti gestori del servizio idrico integrato.

Da parte loro, gli enti gestori continuano a sostenere che le “partite pregresse” rappresentano degli scostamenti che trovano copertura nella normativa vigente, nella disciplina dettata nello specifico dall’Autority statale e, spesso, dai deliberati delle rispettive Autorità d’ambito che ne hanno autorizzato il recupero attraverso la tariffa richiesta all’utenza. Alcuni enti gestori, sostenendo che le determinazioni dell’Autority statale costituiscono modifica o integrazione dei singoli regolamenti di servizio, si sono spinte altresì ad affermare che “…gli atti di regolamentazione emanati dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, (AEEGSI) concorrono ad integrare il contratto di utenza”. Ora, mentre non si obietta sul potere d’ingerenza dell’Autority sui singoli regolamenti di servizio, che rimane comunque circoscritta al rapporto pubblicistico tra Autority statale, Autorità d’ambito ed ente gestore, non può non essere contestata la seconda parte, allorquando si pretende d’integrare unilateralmente anche il singolo contratto sottoscritto dagli utenti. Va qui infatti ricordato l’orientamento in materia della giurisprudenza amministrativa secondo cui “E’ vero che la quantificazione di tale tariffa condiziona anche la remunerazione del servizio prestato dal concessionario, ma sarebbe riduttivo ricondurre la contestazione dei criteri individuati ad una controversia sul corrispettivo, involgendo anche posizioni – prima di tutto dei privati utenti del servizio – che nulla hanno a che vedere con gli aspetti di composizione economica tra concedente e concessionario e che sono comunque frutto dell’esercizio di un potere pubblicistico” (TAR Palermo, sent. n. 2835/2016).

Peraltro, la posizione di monopolista privato che riveste l’ente gestore del servizio idrico non preclude all’utente di recedere dal contratto per sopravvenuta eccessiva onerosità e ciò a dimostrazione del fatto che la “vincolatività” a cui fanno spesso riferimento gli enti gestori non si può estendere all’utente che liberamente ha sottoscritto un contratto di somministrazione della risorsa idrica di natura corrispettiva e sinallagmatica.

Ma facciamo un passo indietro. In generale, il legislatore statale, nel disciplinare la provvista di un servizio pubblico, può escludere o, all’opposto, prevedere una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività, conformando una prestazione patrimoniale obbligatoria come tributo piuttosto che come canone o tariffa, conseguendo da ciò – “indipendentemente dalla qualificazione” della stessa (Corte Cost ex plurimis, sentenza n. 167/2018) – non solo la giurisdizione del giudice tributario, ma anche l’applicazione della disciplina dei tributi a partire dal canone della capacità contributiva previsto dall’art. 53, comma 1 della Costituzione. Al contrario, non può il legislatore qualificare come tributo ciò che in concreto, in ragione della sua regolamentazione, è conformato come canone o tariffa, perché da ciò conseguirebbe un’illegittima deroga al canone generale della giurisdizione del giudice ordinario di cui all’art. 102, primo comma, Cost. (la Corte costituzionale con sentenza n. 64 del 2008 ha infatti affermato che “l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali”). E pertanto il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità in materia di politica economica e fiscale, può anche passare da un sistema basato sulla fiscalità di un contributo ad uno fondato sulla corrispettività di una tariffa o di un canone, com’è avvenuto nell’ipotesi della tariffa idrica disciplinata dalla legge Galli n. 36/94. Quest’ultimo approdo del legislatore si fonda sull’analisi della disciplina della prestazione e mira a discriminare ciò che non risulta inquadrabile nella sua struttura non sinallagmatica, costituendo un mero contributo di scopo. Questo essendo ormai il punto d’arrivo del diritto vivente, deve conseguentemente identificarsi un vero e proprio potere del legislatore nei confronti dei consociati sul presupposto della legittima inclusione dell’utilità che deriva da detta prestazione imposta e del “beneficio” che l’utente finale riceve da tale attività.

In ragione di tale qualificazione, applicata al caso che ci occupa, il necessario “beneficio” non è espressione di un rapporto sinallagmatico, ma di una debenza paratributaria che può definirsi “di scopo”, almeno in senso lato, perché destinata ad assicurare il preteso equilibrio economico-gestionale del servizio idrico e la relativa copertura integrale dei costi. E tuttavia, il beneficio che giustifica l’assoggettamento a tale contribuzione non è legato, con nesso sinallagmatico di corrispettività, all’erogazione del servizio idrico, come sarebbe se si trattasse di un canone o di una tariffa, che invece tale nesso sinallagmatico presuppongono; con riferimento proprio ad una prestazione patrimoniale di natura non tributaria la Corte costituzionale con sentenza n. 335 del 2008 ha dichiarato incostituzionale la previsione di debenza della tariffa riferita al servizio di depurazione “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.

Ora, ammesso – e comunque non dimostrato dalla maggior parte degli enti gestori del servizio idrico – che la voce di costo riferita alla “partite pregresse” quale conguaglio ex post finalizzato a ripianare le proprie perdite senza operare alcuna valutazione specifica circa l’efficienza e l’efficacia della gestione sia legittimo (atteso che ciò si configurerebbe come una sorta di copertura dei costi a piè di lista, contraria alle normative vigenti ed ai principi di miglioramento dell’efficienza cui si fa riferimento sia nella citata legge Galli – l. n. 36/94 – sia nel Codice Ambientale – d.lgs. n. 152/2006 – verrebbe infatti riconosciuto al gestore un importo senza un chiaro istituto giuridico che ne garantisca la legittimità)il beneficio per l’utente (rectius contribuente?) deve necessariamente sussistere per legittimare la pretesa; esso consiste non solo nella fruizione, ma anche nella fruibilità, comunque concreta e non già meramente astratta, del servizio idrico, che, in ragione del miglioramento che deriva in quota parte del medesimo servizio, assicura la capacità contributiva che giustifica l’imposizione di una prestazione obbligatoria di natura tributaria.

Invero, mentre la tariffa è un compenso per un servizio reso a favore di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti singuli, la tassa è invece richiesta per un servizio reso ad una collettività indeterminata di soggetti uti cives. In sostanza, la differenza è tra utente e contribuente. Nella tariffa idrica richiesta dal gestore AcquaEnna vi sono voci di costo vicine al sistema di remunerazione su base corrispettiva (consumo acqua ecc…) e voci di costo (come i pretesi conguagli a titolo di “partite pregresse”) più vicine al sistema di remunerazione su base tributaria. La diversa configurazione giuridica della pretesa “a valle” comporta una diversa tipologia di remunerazione del servizio “a monte”. Infatti, mentre la tariffa viene richiesta direttamente all’utente sulla base del rapporto sinallagmatico sotteso al sottoscritto contratto d’utenza, il contributo va invece richiesto alla collettività attraverso la fiscalità generale. La conferma di ciò è arrivata dal legislatore siciliano che, con mirata legge n. 9/2004, rubricata “Equilibrio economico-gestionale piani di ambito delle province di Agrigento e Caltanissetta” si è fatto carico di finanziare “nella fase di prima applicazione del sistema tariffario e per un periodo massimo di 6 anni, a decorrere dalla data di affidamento della gestione dei relativi servizi idrici integrati, la differenza tra la tariffa che consente l’equilibrio economico del piano d’ambito e la tariffa derivante dall’applicazione del metodo normalizzato di cui al decreto ministeriale 1 agosto 1996, entrambe previste nei rispettivi piani d’ambito……”. Altre Autorità d’ambito, non solo siciliane, hanno invece ritenuto di far ricadere sulla tariffa il finanziamento del citato squilibrio sotto forma di pseudo conguagli, così alimentando la patologica dipendenza del consumatore dall’ente gestore (pubblico o privato) monopolista.

Orbene, se appaiono netti i limiti dettati al legislatore dalla citata giurisprudenza costituzionale, a fortiori i medesimi limiti valgono per le Autorità amministrative, a nulla rilevando, pertanto, i periodici tentativi degli enti gestori del servizio di ribaltare sull’Autorità d’ambito e sull’Autority AEEGSI la responsabilità di siffatte pretese.

Ancora, le qui illustrate argomentazioni finiscono inevitabilmente per irrobustire anche un’altra questione, poiché il contratto di somministrazione del servizio idrico, inquadrabile nella previsione di cui all’art. 1559 del c.c., presenta indubbie peculiarità connesse alla natura del bene somministrato (essendo l’acqua un bene pubblico di prima necessità), sia al regime di monopolio in cui la prestazione viene normalmente erogata. Dette peculiarità, peraltro, non possono ritenersi ostative all’applicabilità delle disposizioni di rango primario (in primis quelle del c.c.) che disciplinano, in generale, i contratti a prestazioni corrispettive e dei più generali parametri della buona fede e correttezza che presiedono la disciplina delle obbligazioni (artt. 1175, 1337, 1375 c.c.). Considerato, poi, che le clausole contrattuali costituiscono diretta esecuzione delle norme di rango secondario con cui l’Amministrazione disciplina la materia, è ovvio che anche tali regolamentazioni devono uniformarsi ai principi sopra citati ed al più generale principio di buon andamento dell’azione amministrativa che si traduce, nella specie, nella ragionevolezza e congruità della regolamentazione di settore che promana da parte dell’Autorità d’ambito.

In questo contesto argomentativo si colloca la citata Ordinanza della Corte di Cassazione che, sulla questione della legittimità delle pretese “partite pregresse” si è così espressa: “la spettanza delle cd. partite pregresse è definita dall’Autorità ma tale determinazione, adottata nell’esercizio del potere regolatorio in relazione al servizio idrico integrato non può porsi in contrasto con il principio di irretroattività sancito dall’art. 11 dis ). prel. c.c.”. Viene affermato altresì che “Non entrano in gioco criteri contabili di determinazione e d’imputazione della quota annuale dei costi di investimento e dei costi di esercizio né criteri matematici di quantificazione delle componenti tariffarie ma l’attribuzione delle perdite accumulate negli esercizi precedenti al mutamento della disciplina, finalizzato al recupero dei deficit di bilancio pregresso e posta a carico degli utenti in dipendenza di una disposizione di carattere univocamente retroattivo ed a prescindere dalla fruizione del servizio e dal nesso sinallagmatico con alcuna prestazione, sulla base della sola titolarità di utenze attive alla data di entrata in vigore della nuova disciplina in materia tariffaria”. Infine, la Corte, nel fare emergere, ancorchè implicitamente, la natura extra-contrattuale delle “partite pregresse” così conclude: “E’ stata allora correttamente esclusa la retroattività della innovazione per contrasto con l’art. 11 disp. prel. .c. rispetto ai periodi in cui i rapporti individuali di utenza avevano già avuto esecuzione, in assenza di accordo delle parti ed in carenza di un potere impositivo perché disposta in palese violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. secondo cui le parti concorrono a determinare il contenuto del contratto nei soli limiti imposti dalla legge, nonché in evidente violazione del principio di buona fede”.

 

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Stop alla “partite pregresse” nel calcolo della tariffa idrica

(Nota a sentenza Giudice di Pace di Enna n. 40 del 04/04/2016)

La sentenza del Giudice di Pace del Tribunale di Enna n. 40 del 04/04/2016 ha acclarato, accogliendo uno solo degli eccepiti profili di illeceità della pretesa economica dell’ente gestore del servizio idrico a titolo di “partite pregresse”, l’illiceità dell’inserimento unilaterale di detta voce di costo in fattura per violazione sia dei principi di trasparenza e buona fede sottesi al contratto d’utenza che del medesimo dettato di cui alle delibere dell’Autorità per l’Energia e l’Ambiente – AEEGSI, per l’assenza di qualsiasi indicazione idonea all’esplicitazione di questa voce di costo indicata solo con la laconica indicazione “Conguaglio anni 2005-2010”. In sostanza, rimanendo criptate le ragioni per le quali l’Ente gestore richiede queste somme perché non adeguatamente illustrate alla parte che ha sottoscritto il contratto d’utenza, è difficile sia accettarle che contestarle.

La difesa della parte convenuta era tutta costruita sull’intangibilità delle scelte dell’ente gestore del servizio idrico anche allorquando, come nel caso che ci occupa, queste comportavano un aumento improvviso ed unilaterale della tariffa. L’Azienda convenuta continuava infatti a sostenere che non vi erano spazi di negoziazione sull’ammontare della tariffa, attesa la natura pubblicistica degli atti amministrativi presupposti con i quali risultavano approvate le scelte dell’ente gestore e considerata altresì l’esigenza di assicurare l’integrale copertura dei costi del servizio.

Orbene, in disparte l’evidente infondatezza di quanto affermato dalla convenuta alla luce della specifica giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 335/2008) secondo cui la tariffa del servizio idrico integrato trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto d’utenza, la pretesa di far gravare sull’utente anche gli eventuali errori di un’errata pianificazione d’ambito non trova conforto né nell’ordinamento positivo, né nel negozio giuridico sottoscritto dall’utente, non solo perché in violazione del citato principio di buona fede, ma perché un adeguamento della tariffa “ex post” si sarebbe tradotto in un’alea insopportabile per l’utente contraente che, venuto a conoscenza di una diversa e maggiore entità della tariffa, si sarebbe magari astenuto dal sottoscrivere (o mantenere) una siffatta tipologia negoziale di somministrazione della risorsa idrica.

In tale contesto non può certo rilevare la posizione di subalternità dell’utente rispetto a quella monopolista dell’ente gestore del servizio (definita dal Presidente dell’Autorità per la concorrenza e il mercato Prof. Pitruzzella “patologica dipendenza del consumatore dall’ente gestore monopolista”), atteso che l’utente potrebbe sempre decidere di risolvere il contratto d’utenza per sopravvenuta onerosità, ricorrendo a formule alternative, ancorchè “antiche”, di approvvigionamento dell’acqua.

Alla società convenuta è sfuggita, verosimilmente, la fondamentale differenza tra tassa e tariffa. La prima rappresenta il sistema di remunerazione di un servizio pubblico locale che l’ente pubblico (impositore) assicura indistintamente a tutta la collettività amministrata. In questo caso il singolo cittadino/contribuente, mentre è obbligato a pagare la tassa secondo la propria capacità contributiva (art. 53 Cost.), non può rifiutare l’erogazione del servizio che viene organizzato dall’ente nell’esercizio di funzioni autoritative1. La tariffa, invece, è concepita come il corrispettivo di un servizio pubblico locale che l’ente pubblico (ATO Idrico) assicura al singolo utente previa sottoscrizione di un contratto d’utenza. In questo secondo caso, che ricorre nella nostra questione, il rapporto tra il cittadino/utente e l’ente gestore del servizio (che ha avuto dall’Autorità d’ambito ATO Idrico l’affidamento in concessione del servizio idrico integrato) è regolato da un rapporto sinallagmatico di natura contrattuale, in cui non vi è alcuna supremazia da parte del contraente gestore del servizio.

Postulato di questa fondamentale ripartizione è che, ammesso che ci sia, l’eventuale incremento del costo del servizio idrico integrato dovuto ad eventuali errori dell’originaria pianificazione d’ambito, peraltro cristallizzata in fase di aggiudicazione dell’affidamento in concessione, dovrebbe gravare sull’Autorità d’ambito e quindi sui Comuni consorziati, anzichè gravare, tramite il sistema tariffario e l’escamotage delle “partite pregresse”, sull’utenza finale del servizio. Questi costi, per certi aspetti estranei alla corretta gestione del servizio, “…entreranno tra gli elementi in base ai quali l’espletamento delle funzioni istituzionali da parte degli enti locali verrà valutato dai cittadini, ai fini dell’attivazione di quella che si definisce comunemente responsabilità politica”2.

Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, dal canto suo, ha più volte manifestato il suo sfavore per sistemi di riconoscimento, per così dire, automatico dei costi, con probabile trasferimento all’utenza, attraverso il meccanismo tariffario, delle inefficienze aziendali3.

In tale contesto appare illuminante anche il disegno di legge statale n. AC 2212 recante “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l’adozione di tributi destinati al suo finanziamento” presentato il 20 marzo 2014 ed il cui esame in Commissione è iniziato il 4 giugno 2015. L’articolo 8 di tale d.d.l. prevede che “Il servizio idrico integrato è finanziato attraverso la fiscalità generale e specifica e attraverso la tariffa. I finanziamenti reperiti attraverso il ricorso alla fiscalità generale e i contributi nazionali ed europei sono destinati a coprire, in particolare, i costi di investimento per tutte le nuove opere del servizio idrico integrato e i costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito…”.

In sostanza, il Parlamento sente l’esigenza di enucleare dal sistema tariffario quelle voci di costo del servizio idrico integrato riferite a spese d’investimento la cui struttura intrinseca non può non gravare sulla fiscalità generale.

La remunerazione integrale del servizio troverebbe quindi copertura non in un rapporto sinallagmatico di natura contrattuale, qual’è quello d’utenza sottoscritto dall’utente per la somministrazione dell’acqua nella propria abitazione, ma in un vero e proprio rapporto tributario in cui il soggetto attivo (sia in relazione all’an che in relazione al quantum) non potrà che essere un ente pubblico dotato dello specifico imperium (potestà impositiva); potere che dovrà essere necessariamente esercitato dagli organi elettivi, secondo le procedure democratiche e non mediante delega a soggetti di natura privatistica, qual’è la convenuta società “AcquaEnna”, politicamente irresponsabili perché sprovvisti di autonomia politica.

Questa considerazione si impone anche alla luce del generalissimo principio vigente in materia tributaria, dotato di dignità costituzionale nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 23 Cost., e certamente valevole anche con riguardo alla fiscalità locale, secondo il quale l’esercizio della potestà impositiva nei confronti dei cittadini richiede, quale suo indispensabile presupposto, una legge attributiva della relativa potestà pubblicistica (no taxation without representation). Ne deriva che l’esercizio del potere impositivo sotteso alla pretesa economica di che trattasi, espressione diretta della sovranitas, non può essere delegata ad enti che non siano investiti, direttamente ex lege, della potestas impositionis e, quindi, soggetti al controllo diretto dei cittadini (soggetti passivi d’imposta).

Per tutto quanto precede e considerato poiché le vessate “partite pregresse”  sanzionate dal Giudice di Pace altro non sono che costi d’investimento sostenuti dalla società convenuta negli anni pregressi ed unilateralmente (rectius, arbitrariamente) ripartiti all’utenza, la relativa pretesa economica non può che ritenersi infondata.

1 Cass. Sent. n. 17381 del 23/07/2010.

 2 Tar Umbria, sez. I, sent. n. 126/2011.

3 Così Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 4290/2006.

 

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Civile Ord. Sez. 3 Num. 17959 Anno 2021

Presidente: FRASCA RAFFAELE GAETANO ANTONIO

Relatore: MOSCARINI ANNA

Data pubblicazione: 23/06/2021

sul ricorso 32020-2018 proposto da:

ACAM ACQUE SPA, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO FARNETANI ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G.BELLI 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LEMBO, pec:

– ricorrente –

contro

LOCCHI VALENTINA, rappresentante e difesa dall’avvocato RINO TORTORELLI; ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA, 29, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA CRUSCUMAGNA, pec: controricorrente –

 avverso la sentenza n. 284/2018 del TRIBUNALE DI LA SPEZIA, depositata Il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORRADO MISTRI

Ritenuto che:

1.Valentina Locchi, titolare di contratto di fornitura del servizio idrico relativo ad una utenza domestica, convenne in giudizio dinanzi il Giudice di Pace di La Spezia la società Acam Acqua SpA, chiedendo la restituzione di quanto le aveva addebitato, in una fattura del 2014, oltre all’ordinario corrispettivo, per una voce “per conguagli recuperi tariffari 2009-2011” dell’importo di € 53,05 in attuazione di una delibera del 2014, illegittima in quanto applicata retroattivamente.

2.Acam Acque si costituì opponendosi alla domanda di ripetizione e sostenendo la legittimità del proprio operato. Il Giudice di Pace accolse la domanda ritenendo che il conguaglio applicato costituisse una rimodulazione, con effetti retroattivi della tariffa relativa al periodo 2009-2011, non ammessa da alcuna normativa di settore né da previsioni contrattuali.

3.Il Tribunale di La Spezia, adito in appello dalla società Acam Acque SpA, con sentenza n. 284 del 17/-/2018, ha rigettato l’appello ritenendo, per- quanto ancora qui di interesse, che le modalità di recupero posta in essere dalla società per compensare mancati ricavi relativi ad anni pregressi fosse contrastante con il principio di irretroattività delle tariffe vigente in materia, in quanto la società aveva applicato il conguaglio in proporzione ai consumi passati anziché a quelli futuri, così facendo illegittimamente retroagire gli effetti della delibera del 2014.

Avverso la sentenza la società Acam Acque SpA ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. La Locchi ha resistito con controriccrso.

La causa è stata fissata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis co. 1 c.p.c. in vista della quale il P.G. ha depositato conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.

Considerato che:

  1. Con l’unico motivo di -ricorso — violazione e falsa applicazione dell’art. 154 d.lgs. n.152 del 2006, del DM 1/8/1996, dell’art. 2 Determinazione AEEGSI n. 643/2013 e degli artt. 3, 29, 31 e 32 del relativo Allegato in tema di partite pregresse;

violazione e falsa appliczione dei principi del full recovery cost e di irretroattività tariffaria – la società ricorrente assume che il Tribunale, nel censurare l’operato di Acam, avrebbe omesse di fare applicazione dell’art. 31 della Determinazione AEEGSI n. 643 del 2013 che imponeva ad Acam di ripartire il conguaglio relativo agli anni anteriori al 2014 tra i consumi fatturati alla data del 31 dicembre 2012, confondendo la disciplina del conguaglio per il recupero delle partite pregresse con la revisione tariffaria in violazione dell’art. 154 d.lgs. n. 152 del 2006. L’errore sarebbe consistito nel non aver valutato che, proprio perché trattavasi di partite pregresse, non fosse configurabile alcuna violazione del principio di irretroattività, dovendosi comunque assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.

1.1 II motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato. In via preliminare occorre rilevare che il ricorso indica -come oggetto di violazione ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. -disposizioni quali quelle contenute nella determinazione AEEGSI n. 643 del 2013 che, in quanto aventi natura di provvedimento amministrativo, non hanno alcuna valenza normativa, e non possono contrastare quanto affermato nella motivazione della decisione impugnata in ordine alla violazione del principio di cui all’art. 11 disp. prel. c.c.. Del resto il motivo non si sofferma affatto sul profilo della irretroattività delle tariffe, risultando privo di correlazione con la motivazione della decisione impugnata. In particolare non dimostra come e perché la delibera si potesse occupare delle tariffe per il passato, e come tale è inammissibile alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 dell’11/1/2005 secondo il quale il motivo deve esplicitare in modo specifico l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione è errata e da esse non può prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n.4 cod. proc.. Il principio di diritto è stato ribadito da Cass. SS.UU., n. 7074, del 2017.

Il ricorso è, in ogni caso, infondato. Come correttamente rilevato dal P.G. nelle sue conclusioni scritte, l’Autorità indipendente divenuta Autorità per l’energia elettrica, il gas e il servizio idrico – ha definito le componenti di costo inserendo tra le componenti tariffari anche le eventuali “partite pregresse” derivanti da conguagli maturati in periodi precedenti al trasferimento delle competenze dell’Autorità stessa. In particolare, ai sensi dell’art. 31 della richiamata Determinazione, la spettanza delle cd. partite pregresse è definita dall’Autorità ma tale determinazione, adottata nell’esercizio del potere regolatorio in relazione al servizio idrico integrato non può porsi in contrasto con il principio di irretroattività sancito dall’art. 11 disp. prel. c.c. Ne consegue l’illegittimità del meccanismo recuperatorio per violazione del citato art. 11. Non entrano in gioco criteri contabili di determinazione e di imputazione della quota annuale dei costi di investimento e dei costi di esercizio ne criteri matematici di quantificazione delle componenti tariffarie ma l’attribuzione delle perdite accumulate negli esercizi precedenti al mutamento della disciplina, finalizzato al recupero dei deficit di bilancio pregresso e posta a carico degli utenti in dipendenza di una disposizione di carattere univocamente retroattiva, ed a prescindere dalla fruizione del servizio e dal nesso sinallagmatico con alcuna prestazione, sulla base della sola titolarità di utenze attive alla data di entrata in vigore della nuova disciplina in materia tariffaria. E’ stata allora correttamente esclusa la retroattività della innovazione per contrasto con l’art. 11 disp. prel. .c. rispetto ai periodi in cui i rapporti individuali di utenza avevano già avuto esecuzione, in assenza di accordo delle parti ed in carenza di un potere impositivo perché disposta in palese violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. secondo cui le parti concorrono a determinare il contenuto del contratto nei soli limiti imposti dalla legge, nonché in evidente violazione del principio di buona fede.

  1. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la società ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alle spese, liquidate in € 500 (oltre € 200 per esborsi), più accessori di legge e spase generali al 15%.

Si dà atto ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R.. n. 115 del 2002 della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contr buto unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile del 3 febbraio 2021


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