La chiusura delle scuole nello “stato di diritto”

La chiusura delle scuole nello “stato di diritto”

di Massimo Greco

L’impennata della curva del contagio da Covid ha rimesso in fibrillazione tutto il sistema istituzionale dispiegato lungo l’asse verticale della Repubblica. E tuttavia rispetto alla fase di esordio della pandemia, il quadro normativo dovrebbe essere più chiaro e definito. Sì, il condizionale è quanto mai opportuno se solo si nota in rassegna la copiosa giurisprudenza amministrativa in cui, a fare specie, non sono i legittimi contenziosi promossi da cittadini nei confronti del decisore pubblico, ma quelli promossi dai diversi livelli istituzionali nei confronti di altrettanti livelli istituzionali, in barba sia al (compianto) federalismo che al sotteso principio di leale collaborazione. Ma è in materia di chiusura/riapertura delle scuole che il conflitto tra le istituzioni sta mostrando il lato peggiore. Nonostante sia ormai chiaro che la materia emergenziale sia di esclusiva competenza dello Stato e che, per espressa previsione di legge, la regola della didattica in presenza può essere derogata dai Sindaci solo in quei comuni dichiarati “zona rossa”, ben 161 Comuni della Sicilia su 391 hanno ordinato la ripresa dell’attività didattica a distanza (DAD) pur non rientrando i rispettivi Comuni, salvo sparute eccezioni, in “zona rossa”. Ma vi è di più, nonostante la giustizia amministrativa ha dichiarato illegittime le ordinanze, nell’ordine, del Presidente della Regione Campania, dei Sindaci di Messina, Palermo e Agrigento con motivazioni “fotocopia”, ancora oggi i restanti Sindaci si ostinano a mantenere in vita le proprie ordinanze. Questa condotta, oltre a profilare l’ipotesi più grave dell’interruzione di pubblico servizio sanzionata penalmente, sta generando un vulnus nei confronti dello “stato di diritto”, in forza del quale tutti i poteri pubblici devono agire entro il perimetro della legge, e devono essere soggetti al controllo di organi giurisdizionali imparziali ed indipendenti. Andrebbe ricordato a questi Sindaci che la fascia tricolore indossata è un simbolo di cui andare fieri solo nella misura in cui si ha consapevolezza di essere molto più “fedeli alla Repubblica” di quanto lo possano essere i cittadini. In un contesto di questo tipo, che arieggia la fattispecie dell’anarchia istituzionale, diventa pretestuoso chiedere ai propri cittadini il “rispetto delle regole”.