L’8 settembre del ’43 come fu vissuto dai soldati troinesi bloccati nel Nord Italia

L’8 settembre del ’43 come fu vissuto dai soldati troinesi bloccati nel Nord Italia


Sono due gli eventi del ‘900 di cui la memoria collettiva dei troinesi ne conserva il ricordo: la sanguinosa battaglia combattuta a Troina dalle forze alleate angloamericane e le forze dell’asse italo-tedesche dal 31 luglio al 5 agosto 1943 e la costruzione della diga Ancipa dal 1949 al 1953. Della battaglia di Troina e delle sofferenze patite dai troinesi di allora sappiamo molto, anche se c’è ancora altro da sapere. Poco sappiamo, invece, dei troinesi che, in quei giorni tremendi lunghi come secoli, non erano a Troina perché si trovavano sotto le armi nel nord Italia. Anche loro vissero giorni, mesi ed anni tremendi dopo l’8 settembre 1943, quando il governo Badoglio annunciò l’armistizio con le forze alleate angloamericane, fino ad aprile 1945. L’8 settembre 1943 finiva la guerra fascista e iniziava la guerra di liberazione. All’annuncio dell’armistizio, l’Italia era divisa in due: gran parte del Sud, dalla Sicilia alla Puglia, era già libera mentre il nord era sotto occupazione tedesca. Per i giovani troinesi che prestavano servizio militare al nord, furono giorni terribili quanto quelli vissuti un mese prima dai troinesi rimasti in paese. Al nord l’esercito italiano si dissolse. I tedeschi disarmarono i soldati italiani e li chiusero in campi di concentramento in attesa di portarseli in Germania come prigionieri. Molti soldati riuscirono a fuggire. Ritornarono alle loro case con facilità quelli che abitavano al nord. Per i soldati di origine meridionale, era un’impresa difficilissima e rischiosissima ritornare nei loro paesi e città. Dovevano attraversare tutta l’Italia del nord e del centro controllata dai tedeschi. C’era da passare poi la Linea Gustav, la linea di difensiva approntata dai tedeschi dal fiume Garigliano, al confine della Campania con il Lazio, fino a Ortona in Abruzzo. Rimasero bloccati al nord, sbandati. Per sottarsi alla cattura dei tedeschi, ci furono quelli che si aggregarono ai partigiani e altri che cercarono rifugio presso le famiglie della zona in cui si trovavano. Ad oggi, è stato accertato che sono dieci i troinesi che parteciparono alla Resistenza contro il nazifascismo. Sappiamo della drammatica avventura vissuta dai soldati troinesi che si trovarono sbandati al nord dopo l’8 settembre. Nessuno si è occupato di raccogliere le loro testimonianze, quando questi erano ancora in vita. Di alcuni di loro si sa che erano a Genova e si rifugiarono a Bolzaneto presso famiglie del luogo. Tra questi: Salvatore Finocchiaro, Iacopo Plumari e Filippo Arona. Si racconta che Finocchiaro abbia appoggiato i partigiani liguri in alcune azioni. Quelli che, a guerra conclusa nel 1945, sono tornati hanno raccontato ai loro figli la tragica esperienza che hanno vissuto. Il ricordo che hanno di questi racconti è l’unica fonte documentale al momento disponibile. Attraverso il ricordo di questi racconti conservato dai figli, mi è stato possibile ricostruire l’esperienza di Nicolò Giambello, che si trovava a Trieste l’8 settembre. Giambello era nello stesso di reparto militare con l’altro troinese Silvestro Impellizzeri. I tedeschi disarmarono l’intero reparto e lo trasferirono a Postumia, in un campo di prigionia. Dopo tre giorni di permanenza nel campo di prigionia, l’intero reparto viene portato alla stazione sotto una rigida sorveglianza di soldati tedeschi armati pronti a sparare contro chi avesse tentato d scappare. I soldati italiani prigionieri avevano capito che stavano per portarli in Germania. Giunti alla stazione di Postumia, alcuni di loro, approfittando della momentanea distrazione dei soldati tedeschi, si tolsero la divisa militare che avevano indossato sopra abiti civili. Vista la mala parta, Giambello e Impellizzeri si organizzarono saggiamente per evitarla. I due troinesi, nella fuga, si ritrovarono ancora insieme. Si rifugiarono in una casa dove c’erano una donna con la giovane figlia. La donna capì subito che i due giovani uomini erano dei soldati italiani in fuga dai tedeschi. Tra la popolazione di quella zona è profondamente radicato un sentimento antitedesco. E’ questo spiega perché la donna li fece entrare a casa senza alcuna difficoltà. Anzi, quando i due le spiegarono chi erano e che volvevano tornare a Trieste, ordinò alla sua giovane figlia di andare in stazione a comprare due biglietti. Fu una decisione saggia quella di mandare la figlia a prendere i due biglietti del treno per Trieste. Dovevano ancora esserci soldati tedeschi armati di tutto punto in giro alla ricerca dei soldati italiani, che gli erano sfuggiti sotto gli occhi. La donna conosceva il capostazione e se ne fidava. Forse era suo marito o un parente o un suo conoscente. Sicuramente sui tedeschi la pensava come lei. La ragazzina tornò con i due biglietti, li diede ai due troinesi che lasciarono la casa e andarono in stazione per prendere il treno che li avrebbe portati a Trieste. In stazione furono accolti dal capostazione che, vedendoli con i capelli cortissimi dei soldati, diede loro dei cappellini. Con la testa scoperta, i tedeschi, che erano ancora in giro, avrebbero subito sospettato che erano due militari italiani in fuga. Nelle rischiosissime condizioni in cui si trovavano i due troinesi, la prudenza non era mai eccesiva. Cosi la pensava il saggio e coraggioso capostazione, al quale venne anche la pensata di chiedere a due giovani donne di mettersi al braccio dei due troinesi e fingere che fossero le loro fidanzate che li accompagnavano. Le due ragazze, che probabilmente conoscevano il capostazione e di si fidavano, si prestarono a fare la parte delle fidanzatine dei due troinesi in partenza per Trieste. Giunti a Trieste i due troinesi si separarono per motivi di sicurezza. Giambello trovò un rifugio in un’azienda agricola gestita da anziani nella periferia di Trieste. Anche questa famiglia di anziani contadini triestini non aveva in simpatia i tedeschi. Giambello aiutava questi anziani contadini nei lavori di campagna, che non mancavano, e dormiva nel fienile. Ogni tanto, quando non c’era lavoro da fare in campagna, andava a Trieste, dove un giorno, alla fermata dell’autobus, incontrò il suo sergente maggiore in abito civile. Anche il sergente maggiore era sfuggito ai tedeschi ed era persino entrato a far parte dell’Unione nazionale protezione antiaerea (Unpa). Consigliò a Giambello di fare domanda per entrare anche lui all’Unpa. Giambello non ci pensò neppure un istante e fece subito dopo all’Unpa per farne parte. Lo chiamarono e lo mandarono a Monfalcone dove Giambello incontrò Natale Angelo Marchese, un suo compaesano di 51 anni che faceva l’ufficiale dell’anagrafe al comune di Ronchi dei Legionari. Marchese aiutò molto Giambello. Monfalcone è a 4 chilometri da Monfalcone. Con Marchese, Giambello si vide il 6 gennaio 1944 a Monfalcone. E fu l’ultima volta che lo vide perché il giorno dopo, Marchese, antifascista e partigiano della Divisione Garibaldi Natisone, fu arrestato dai tedeschi e deportato a Mauthausen dove morì l’1 marzo 1945. La triste notizia dell’arresto e della deportazione in Germania di Marchese procurò molto dolore a Giambello, che sapeva come venivano trattati in Germania, nei lager, dai nazisti gli oppositori politici. Le condizioni di prigionia erano durissime. Chi entrava nei lager, difficilmente ne usciva vivo. Giambello ebbe la fortuna di tornare vivo a Troina, a guerra finita, e raccontò quello che visse in quei terribili anni dal 1943 al 1945 a Trieste e Monfalcone.
Silvano Privitera