Infodemia. Talk show: semplificazione, spettacolarizzazione e pessima informazione

Così come sono fatti i talk show televisivi, dove si parla di pandemia e guerra in Ucraina, non servono a chi voglia farsene un’idea. Sotto quest’aspetto non c’è alcuna differenza tra quelli della televisione pubblica e gli altri delle televisioni commerciali e private. Somigliano tutti al “Processo del lunedì” di Biscardi dove non si faceva informazione, ma spettacolo: il tifoso interista contro quello milanista, il tifoso romanista contro l’altro juventino. Questa logica binaria si vede applicare nei talk show dove si contrappongono vaccinisti contro anti-vaccinisti e atlantisti contro putiniani senza spazio per i distinguo. Gli spettatori sono subissati da pareri discordanti e male argomentati. Coerenti con questa logica sono il duetto fra la Berlinguer e Corona, che non ha niente da dire ma glielo fanno dire lo stesso, e il siparietto di Luca e Paolo, dove appare chiaro che prioritariamente si va alla ricerca di tutto quanto fa spettacolo. Anche la lunga durata di questi talk show e le partecipazioni oceaniche di esperti, che spesso si beccano come i galli in un pollaio, non aiutano a capire di che cosa stanno discutendo. Non arrivano a completare i loro interventi perché il conduttore li blocca, prima che completino, per far parlare quello che viene dopo. Ma alla fine non si capisce cosa volevano dire perché non hanno avito il tempo di spiegarlo. Sotto quest’aspetto, Floris nel suo programma “di Martedì” è esemplare. Un cattivo esempio da non seguire, ovviamente. Per il poco tempo che hanno disposizione per esprimere il loro punto di vista, gli invitati, molti dei quali non hanno alcuna competenza degli argomenti di cui si parla ma solo una certa notorietà, devono semplificare. A questo gioco si prestano volentieri i politici, che partecipano a questi talk show parlando per slogan. Ma come si fa a semplificare questioni complesse, come la guerra Ucraina-Federazione Russa, che richiedono seri approfondimenti sotto diversi aspetti storici, geopolitici e della sicurezza mondiale? E’ una domanda, questa, che ideatori e conduttori di questi talk show neppure si pongono perché a loro interessa la spettacolarizzazione e la personalizzazione del dibattito, non l’approfondimento. Questo spiega l’uso che fanno delle immagini e delle musiche di sottofondo e di un linguaggio elementare e della decontestualizzazione dei fatti che vengono rappresentati in chiave binaria di contrapposizione: di qua o di là, bianco o nero, vittima o carnefice, bene contro male. E’ vero che siamo esposti ad un overdose informativa. Oggi sentiamo spesso parlare di infodemia, di un flusso costante di informazioni che ci investe 24 su 24 ore e che è difficile da gestire. E’ comprensibile l’esigenza che di una semplificazione per potersi orientare in questo immenso mare di informazioni e di capire di che cosa si parla. Ma i talk show televisivi alla Biscardi da bar sport non sono la risposta adeguata a quest’esigenza dei loro fruitori.
Silvano Privitera