La “querela temeraria”, la facile arma per intimidire i giornalisti

Ci sono giornalisti che campano aspettando l’arrivo di comunicati stampa o “smurfiannu”, per dirla alla siciliana, notizie pubblicate da altri. Sono quelli che vogliono vivere tranquilli senza sentirsi minimamente in dovere di fare i conti con la propria coscienza quando qualcuno si rivolge a loro per sottoporgli “un caso”: fanno spallucce e lasciano stare. Vivono sicuramente meglio di chi invece la notizia la cerca, l’accoglie, va sul posto e aggiorna di continuo i lettori documentando quanto afferma, a costo di prendersi delle responsabilità scomode. Insomma, il giornalista che gira la testa dall’altra parte, in realtà non fa alcun servizio concreto alla collettività che, ogni tanto, si aspetta che qualche professionista dell’informazione sollevi quel tappeto polveroso e ricerchi la verità sostanziale dei fatti nell’interesse di una comunità che ha il diritto dovere di essere informata. “Dignità è garantire e assicurare il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente”: queste sono state le parole chiare ed inequivocabili del presidente Mattarella. E se le ha pronunciate è perché, probabilmente, questa dignità non c’è. Infatti, è da 40 anni che in Italia non si riesce a fare una legge per favorire la libertà di stampa, a causa di molti politici che si oppongono, per paura che i cittadini possano conoscere la verità così com’è. Oggi basta fare una querela al giornalista che cita il tuo nome, o che pubblica una notizia che non ti piace, per zittirlo senza nulla temere. Si chiama, in gergo, “querela temeraria” ed è spesso completamente infondata, ma è molto utilizzata per impaurire, zittire e richiedere persino risarcimenti spropositati. La libera informazione non è un lusso, ma un’esigenza primaria per difenderci dai tanti soprusi e per impedire sul nascere le derive del tempo che stiamo vivendo. È un fatto di dignità.