La politica ennese e la sindrome dell’orticello

Fin dalla sua comparsa sulla terra, l’uomo ha sempre manifestato la necessità di porre in essere comportamenti finalizzati all’autoconservazione. A differenza di alcune tipologie di animali che utilizzano l’olfatto per comunicare la propria presenza, l’uomo si caratterizza attraverso comportamenti visibili. I villaggi tribali furono l’occasione per sperimentare le prime forme di proprietà privata attraverso la realizzazione di caverne e capanne ma anche la coltivazione di piccoli fazzoletti di terra (“orticelli”).

Dalla dimensione privata alla dimensione pubblica

L’evoluzione dell’uomo, passato dallo stato di natura allo stato sociale, ha generato una nuova dimensione della proprietà, strettamente correlata ad una
visione collettiva del suo nuovo modo di vivere: la proprietà pubblica. Rispetto a questo nuovo scenario l’uomo, prima impegnato solo a coltivare il proprio orticello, è stato chiamato a dedicare parte della propria attività quotidiana per assicurare l’esercizio di funzioni pubbliche e per erogare servizi pubblici.

La pandemia dell’orticello

Se questo è la sintesi teorica di come l’uomo (uti singulu) sia diventato cittadino (uti cives), la pratica quotidiana dimostra come i confini tra ciò che è privato e ciò che è pubblico sono rimasti sottili. Diffusa come una pandemia è infatti la condotta di chi, incaricato di esercitare una funzione pubblica (anche su base elettiva) o di erogare un servizio pubblico, pensa di farlo come se stesse coltivando il proprio “orticello”. Un modello comportamentale che, nonostante l’avvenuto ribaltamento dei rapporti di forza tra cittadino e Stato (Stato liberale), si avverte in tutti i contesti della Pubblica Amministrazione in cui il dipendente pubblico (dal dirigente al commesso) pensa di esercitare potere al pari del satrapo di persiana memoria. Ne è la dimostrazione l’insofferenza che lo stesso manifesta nei confronti di chi (giornalista, influencer dell’informazione o anche semplicemente cittadino) ne vuole monitorare la qualità della decisione pubblica.


Dosi massicce di “educazione di civica”, il cui insegnamento è stato introdotto nell’ordinamento scolastico solo nel 2019, dovrebbero essere somministrate in tutti gli apparati pubblici, al pari di quanto fatto con l’obbligo vaccinale, se non altro per far comprendere l’elementare differenza tra ciò che è proprio e ciò che appartiene a tutti.

Massimo Greco