I misteri su Pasquasia tra mafia, segreti di Stato e le stragi del ’92

E’ tornata di moda la miniera di Pasquasia e nelle ultime settimane si discute molto sul suo futuro. Ma quello che è torbido è il suo passato, intriso di segreti, specie sulla sua chiusura, di inchieste giudiziarie che non hanno mai chiarito nulla, e di interessi mafiosi. Parafrasando Winston Churchill, la miniera ennese “è un rebus avvolto in un mistero cha sta dentro ad un enigma”. ViviEnna ha intervistato il cronista de Il Fatto Quotidiano, Saul Caia, autore, insieme a Rosario Sardella, di una inchiesta giornalistica dal titolo Miniere di Stato realizzata negli anni scorsi, il cui video integrale è possibile vederlo qui.

La miniera di Pasquasia è tornata a far parlare di se. La deputata nazionale di Fdì Longi ha annunciato una inchiesta  per svelare cosa c’è ancora dentro. Parla di un segreto di Stato. Tu che te ne sei occupato in una inchiesta giornalistica cosa puoi dirci in merito a questo segreto?

Il “segreto” di cui si parla spesso, citato in merito a Pasquasia, è riferito all’inchiesta del 2003 condotta della procura di Caltanissetta, all’epoca guidata dal procuratore capo Sergio Lari, che stava svolgendo accertamenti su “noti indagati” per reati di “smaltimento illecito di rifiuti anche radioattivi all’interno della miniera”. Atti che, spiegava in una nota la stessa procura, “non sono ostensibili in quanto coperti da segreto”. Era in realtà un segreto investigativo.

La miniera di Pasquasia perché fu chiusa?

Questa è una delle domande che a distanza di trent’anni non ha una vera risposta. L’impianto è stato bloccato nel 1992 e posto sotto sequestro dalla procura di Caltanissetta, all’epoca al vertice c’era Giovanni Tinebra. Alla base dell’indagine c’era il possibile inquinamento ambientale prodotto dalla cava, ma soprattutto il sospetto che all’interno della miniera si potessero stoccare rifiuti radioattivi. Ricordiamo che in quegli anni, Pasquasia era tra i poli di estrazione più importanti d’Europa, basti pensare che nel 1991 la Regione aveva stanziato 70 miliardi di lire per la costruzione di impianti di depurazione a scarico controllato. Mentre a dicembre del 1992, la giunta regionale rende pubblico l’appalto aggiudicato dal raggruppamento di imprese Astaldi spa, ma che non inizierà mai, perché la miniera non riaprirà mai i battenti.

È possibile che dentro ci siano scorie tossiche?

Qui ci troviamo davanti ad un altro mito legato a Pasquasia, che però non ha risposte certe. Sappiamo che negli anni ’80, l’Ente nazionale per l’energia atomica (Enea) e l’Italkali firmano un accordo quinquennale che consentiva agli scienziati di realizzare nella cava un laboratorio a 400 metri di profondità, per studiare le argille del sottosuolo e capire se era possibile costruire un deposito nucleare. La notizia degli studi diventa virale ad Enna, tanto che l’amministrazione chiede l’intervento della regione, finché invece è la procura di Caltanissetta a sequestrare tutto. Alcuni anni fa ho intervistato il professor Enzo Farabegoli (ormai scomparso), che negli anni ’80 prese parte agli studi, il quale mi ha confermato che si trattava di “uno studio sperimentale, ma non c’era niente di nascosto o di segreto”, anzi, i report erano tutti consultabili all’Enea. Ad un tratto la miniera venne chiusa, e neppure gli scienziati hanno mai saputo il motivo, confidandomi persino che loro attrezzatura è rimasta tombata dentro le cave.

Pasquasia è stata al centro di interessi mafiosi. Ne parlò il pentito Messina. Cosa emerse?

Che la miniera fosse sotto il controllo della mafia, non c’è ombra di dubbio. Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina ha raccontato alla commissione antimafia (4 dicembre 1992) che all’interno di Pasquasia lavoravano “una quindicina” di uomini d’onore e che facevano le “riunioni all’interno della miniera”. “Noi (inteso come Cosa nostra, ndr) eravamo i padroni della miniera – racconta Messina – perché loro (riferito all’Italkali, ndr) si occupavano di scavare il sale e noi invece ci occupavamo di controllare le gallerie”. Messina, detto anche ‘Narduzzo’, era dipendente dell’Idrofont, una ditta pulita di San Cataldo, e risultava assistente al sottosuolo a Pasquasia. Senza dimenticare che a Pasquasia lavorava con il subappalto la società “La Pietrina”, amministrata da Liborio Miccichè (detto Borino) e da Raffaele Bevilacqua. Entrambi risultavano sulla carta politici democristiani, ma in reatà erano uomini d’onore. Proprio sull’appalto della Pietrina a Pasquasia, il passaggio è citato anche nella sentenza Andreotti, si è interessato direttamente Salvatore Lima, plenipotenziario di Andreotti nell’isola.

Anche altre miniere sono state in mano alla mafia?

Da sempre le miniere siciliane sono state il motore dell’economia della mafia, basterebbe leggere il memoriale redatto dal Partito Comunista in Sicilia e trasmesso nel 1964 alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia per avere un quadro. Qualsiasi attività che ruota attorno all’estrazione dei minerali era d’interesse della mafia, dalla manutenzione degli impianti al trasporto, passando per l’assunzione dei lavoratori. Dentro c’erano Genco Russo e Calogero Vizzini, e negli anni sono entrati molti altri, come il boss di Riesi, Giuseppe Di Cristina, detta “la tigre”, che venne persino assunto come tesoriere dell’Ente Minerario Siciliano (Ems), all’epoca guidato dal veneto Graziano Verzotto. Non dimentichiamo che Di Cristina è stato, insieme al boss catanese Giuseppe ‘Pippo’ Calderone, detto Cannarozze d’argento, testimone di nozze di Verzotto.

Le inchieste attorno alla miniera non hanno portato mai a nulla. Un segreto tombale sulla vicenda. Segreti su segreti…cosa ne pensi?

C’è una coincidenza temperale strana su Pasquasia. Chiude nel 1992, l’anno delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. Leonardo Messina è uno degli ultimi pentiti ad aver parlato proprio con Paolo Borsellino, pochi giorni prima che venisse ucciso. Gli racconta dei summit organizzati dalla cupola ad Enna in cui viene decisa la strategia stragista.

E poi?

Ma c’è un’altra cosa che spesso è passata in secondo piano, in commissione antimafia hanno chiesto di come la mafia potesse trovare il tritolo, e Messina ha risposto: “Non abbiamo bisogno di comprare l’esplosivo all’estero perché le cave in Sicilia sono tutte in mano nostra (…) Tutto quello che volevamo io l’ho uscito dalla miniera, da detonatori elettrici a dinamite. Noi rubavamo tutto all’Italkali, un anno l’azienda disse che gli mancavano dalla contabilità 400 kg di dinamite”.

Questa frase fa venire molti dubbi, soprattutto se pensiamo che la chiusura è stata voluta dalla procura guidata da Tinebra, magistrato sulla quale aleggiano molte perplessità sulla gestione delle indagini legate alle stragi, soprattutto in merito alla morte di Borsellino, che è sfociata decenni di veleni e continui depistaggi.