Il diritto internazionale e l’uso della forza
Troina - 13/10/2025
Leggendo i quotidiani di questi giorni (la preghiera laica del mattino, come diceva Hegel), ho più volte notato che, negli editoriali dedicati ai due conflitti che ci riguardano più da vicino, guerra russo-ucraina e conflitto israelo-palestinese e della relativa tregua, si indica nel diritto internazionale uno degli strumenti pacifici per gestire il conflitti tra Stati. E, con una punta di orgoglio, molti editorialisti sottolineano il fatto che il diritto internazionale sia un’invenzione dell’Europa.
Le fonti giuridiche
Agli studenti di scienze politiche-relazioni internazionali, che leggeranno quest’articolo, verrà subito in mente Grozio, filosofo, teologo e giurista olandese vissuto nella prima metà del Seicento. In quella temperie che fu la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), che sconvolse l’Europa, Grozio si pose il problema di una legge per regolare i rapporti tra gli Stati sovrani. In quel tempo, era la forza ad arbitrare le relazioni tra gli Stati, retti dalle monarchie assolute.
Il diritto internazionale
Le origini dell’idea del diritto internazionale però risalgono ad un secolo prima, attorno al 1530, quando il teologo spagnolo Francisco de Vitoria si preoccupava non dei rapporti tra gli Stati europei, ma dei rapporto tra gli europei e i popoli delle Americhe che erano state scoperte nel 1492. Per giustificare l’imperialismo spagnolo, Vitoria aveva inventato lo “ius comunicandi”, che consisteva nella libertà di commerciare e nella libertà di persuadere, ossia di predicare il cristianesimo agli indiani. Se gli indiani si opponevano, gli spagnoli erano legittimati all’uso della forza, a muovere guerra e al saccheggio. Le conquiste degli spagnoli erano, quindi, perfettamente legittime. Lo ius comunicandi era uno strumento giuridico pensato e pratico per giustificare l’imperialismo spagnolo. La Spagna era allora la principale potenza mondiale. Un secolo più tardi, nel 1625, con il suo testo dal titolo “De iure praede”, Grozio chiarì meglio l’idea di diritto internazionale che stava maturando. Il “De iure praede” (diritto alle spoglie), Grozio l’aveva scritto per dare una giustificazione legale ad un atto di vera propria pirateria compiuto dal capitano della Compagnia delle Indie Orientali olandesi, che aveva catturato una nave portoghese con un ricco carico di rame, seta, porcellana, sete ed argento. Secondo Grozio, l’alto mare doveva essere considerato come una zona libera sia per gli Stati sia per le compagnie private armate. Pertanto era giusto quello che aveva fatto il capitano della nave olandese, che era un suo cugino, saccheggiando la nave portoghese. Questa concezione di diritto internazionale era uno strumento dell’imperialismo commerciale olandese. L’evoluzione del concetto di diritto internazionale nei secoli successivi fino ai nostri giorni non si discosta dalla linea che era stata già tracciata.
I riferimenti storici
Nella storia dei secoli successivi sono tanti gli episodi che confermano questa linea di tendenza. Quando la Nato, nel 1999, lanciò la guerra contro la Serbia escluse ogni inchiesta sulle proprie azioni. Il Tribunale penale internazionale, istituito dall’Onu per perseguire i colpevoli di crimini di guerra, inflisse ai Serbi, bersaglio dell’ostilità euro-americana, la condanna per la pulizia etnica, ma non condannò i Croati responsabili dello stesso crimine perché erano stati armati dagli Stati Uniti. Il solo crimine, nei conflitti internazionali, è perdere la guerra. Un altro esempio è dato dal trattato di non proliferazione di armi nucleari. Si puniscono Iran e Corea del Nord, ma nessuno muove un dito contro Israele che possiede da tempo un suo arsenale nucleare. Il blocco in acque internazionali ad opera di militari israeliani della Flottilla, che portava viveri e medicinali per i palestinesi di Gaza, è un crimine di pirateria molto simile a quello degli olandesi a danno dei portoghesi di cui parla Grozio. Ma nessuno pensa di condannare Israele. E poi un’eventuale condanna, chi dovrebbe farla applicare? Che abbia ragione il finlandese Martti Koskeminni, il maggiore giurista internazionale odierno, quando dice che il diritto internazionale è meglio inteso come tecnica egemonica, in senso gramsciano? L’esercizio dell’egemonia, secondo Gramsci, richiede la capacità di rivestire un interesse particolare da valore universale.