Priorità breve, attese lunghe: il labirinto della sanità ennese nella denuncia di un cittadino

Un episodio di ordinaria difficoltà sanitaria, che però assume i contorni di una denuncia civile, è al centro di una lettera inviata da Vittorio Di Gangi alla Direzione generale dell’Asp di Enna. Una missiva che, partendo da un caso concreto, mette sotto la lente d’ingrandimento le criticità strutturali della sanità pubblica ennese, soprattutto quando a farne le spese sono gli anziani più fragili.

La vicenda di una anziana

La vicenda riguarda una donna di 91 anni, residente a Enna, con un reddito pensionistico annuo di circa 8.000 euro, poco più di 660 euro al mese. A causa di persistenti e invalidanti dolori alle ginocchia, l’anziana è costretta a ricorrere a una visita ortopedica. I lunghi tempi di attesa della sanità pubblica spingono però i familiari a rivolgersi a uno studio privato, dove la visita e un’iniezione per alleviare dolore e infiammazione vengono effettuate a fronte di un compenso di 60 euro senza fattura o 80 euro con regolare ricevuta.

Il rimpallo burocratico

Lo specialista suggerisce inoltre l’esecuzione di una radiografia per approfondire il quadro clinico. Il medico di base redige la prescrizione e un familiare si reca al CUP di Enna per prenotare l’esame. Qui arriva la prima, amara sorpresa: la prima data disponibile è fissata per il mese di marzo, con un’attesa di circa tre mesi. Diversamente, rivolgendosi a un laboratorio privato, la radiografia potrebbe essere effettuata in giornata, al costo di 81 euro.

«Viene fatto presente all’impiegato del CUP che la signora ha urgenza di sottoporsi all’esame radiografico, poiché il dolore le impedisce completamente di muoversi», scrive Di Gangi. La risposta è tecnica ma implacabile: solo con una prescrizione recante la dicitura “priorità breve” la prestazione può essere garantita entro dieci giorni.

Medico di base e specialista

Da qui si apre un ulteriore cortocircuito burocratico. Alla richiesta di valutare l’emissione di una ricetta con “priorità breve”, il medico di base risponde che ciò è possibile solo dietro indicazione scritta di uno specialista. Un passaggio che, di fatto, rimette in moto la macchina delle attese: «E lì si dovrebbe ricominciare l’attesa di altri 3-4 mesi».

Le braccia tese della sanità privata

La lettera si trasforma allora in una serie di domande che chiamano in causa il senso stesso del servizio sanitario pubblico. «Un soggetto anziano di oltre 90 anni – si chiede l’autore – ha davvero tutto questo tempo per attendere l’intervento della sanità pubblica? Oppure la sua aspettativa di vita è considerata così “breve” da costringerlo a rivolgersi al privato?».

L’alternativa: rinunciare a curarsi?

E ancora: può una persona con una pensione così modesta sostenere spese che arrivano a rappresentare il 25% del reddito mensile, o deve rinunciare a curarsi? E rivolgendosi al privato, «deve pagare con fattura, che non potrà mai portare in detrazione dall’Irpef perché esentata per basso reddito, oppure è indotta a pagare in nero una somma inferiore?».

Nel mirino anche il ruolo del medico di base, stretto tra conoscenza diretta del paziente e vincoli procedurali: «Il medico di base non ha la facoltà di decidere, conoscendo la storia clinica e il contesto socio-familiare del paziente, l’urgenza e la necessità di effettuare esami e visite in tempi rapidi? Oppure deve limitarsi a essere un mero burocrate?».

La riflessione finale allarga lo sguardo al contesto territoriale. «Ricordiamoci che la nostra provincia è la più povera d’Italia e che la popolazione sta diventando sempre più anziana», scrive Di Gangi, lanciando un appello ai responsabili della sanità locale affinché si facciano carico, «con priorità breve», di garantire agli anziani un accesso reale e tempestivo alle cure.