Appello di don Salvatore Minuto, Cappellano dell’Ospedale di Leonforte

Leonforte. Non ho chiara la distinzione tra strutture sanitarie, aziende ospedaliere, centri di pronto soccorso, lungo degenze ecc. e mi considero, tra scongiuri e scaramantici ammiccamenti, un meramente ipotetico potenziale fruitore del Servizio Sanitario Nazionale che come molti italiani abbondantemente finanzio attraverso il prelievo fiscale e dal quale prego la provvidenza di tenermi a debita distanza.
Come per le assicurazioni, per altro, si sa che le strutture ospedaliere costano, ma solo quando servono si apprezzano realmente; con una differenza, però: se in campo assicurativo l’imprevidente può ritrovarsi sul “lastrico” a fronte di un imprevisto, quando parliamo di salute non ci sono prove d’appello.
Povero è brutto, morto è morto, e basta.
Tornato nel cuore della Sicilia più vera, tra gli amici di Leonforte, terra come sempre ad un tempo aspra e bonaria, accolgo con stupore dell’attentato alla dignità di quella gente che ha voluto e saputo tenacemente resistere, negli ultimi cinquant’anni di storia di questa tribolata Repubblica, alla tentazione di spostarsi verso una vita più facile, verso le grandi Città, magari del Nord, dove comunemente si ritiene più facile e più comodo vivere, lavorare, studiare. E curarsi.
Perchè è della chiusura dell’ospedale che mi parlano gli amici di Leonforte, chi allarmato, chi deluso, chi indispettito. Perché è così che si spingono gli anziani ad andarsene, le giovani coppie a migrare altrove per garantirsi gravidanze sicure, i cittadini a disperare di poter contare su amministratori pubblici vicini alle esigenze della popolazione.
Tutti conveniamo sul fatto che troppi presidi ospedalieri siano stati ispirati a suo tempo più dall’esigenza di coltivare clientele e consensi elettorali che non dall’esigenza di servire il territorio: è questa una malattia che nessuna ASP sa curare, nel nostro Paese. Un unico ospedale, baricentrico e facilmente raggiungibile, avrebbe meglio servito il territorio. Ma oggi, in difetto di questa struttura “centrale”, chiudere uno o più presìdi mi pare davvero una improvvida scelta.
Ma qualcuno tra quelli che contano è mai vissuto davvero da queste parti? Questo qualcuno ha mai ipotizzato di svegliarsi una notte con tutti i sintomi di un infarto cardiaco (che certo con la sua competenza sanitaria questo Signore saprà identificare subito come tale) e sentirsi dire, dal collega della guardia medica, che con un breve percorso di una trentina di km troverà sicuro conforto di competenti cure mediche in una struttura alternativa, magari a Piazza Armerina?
Peccato che quei 30 km siano degni del Rally della Corsica e che l’ambulanza non sia una Lancia Delta Integrale…
E se immaginassimo per un momento che mentre il nostro sportivissimo infartato si sta destreggiando come passeggero di una ambulanza turbo della squadra corse ASP sua figlia, all’ ottavo mese di gravidanza, residente anche lei per caso a Leonforte, per l’emozione avverta improvvise contrazioni ed abbia necessità del conforto ospedaliero, ovviamente presso il “vicinissimo” ospedale di Nicosia?
Da turista ricordo bene quella strada, di giorno: credo che una donna gravida, con contrazioni, di notte, abbia buone probabilità di partorire all’incirca sul crinale dove fanno bella mostra di sé una sequela di pale eoliche, invadenti testimoni della tecnologica lungimiranza degli amministratori siciliani. Se parliamo invece di raggiungere Nicosia, stimo le probabilità inferiori a quelle su cui si basano i profughi che lasciano la Libia o la Tunisia sulle carrette del mare dirette in Italia…
Davvero gli amministratori sono così lontani dalla realtà, o così in malafede, da ignorare le condizioni della viabilità del territorio, i tempi di percorrenza ed i pericoli connessi con quei percorsi? Davvero ignorano cosa voglia significare in termini di ragionevole sicurezza e qualità della vita la presenza di un presidio ospedaliero, sia pure privo di Unità Coronariche, DEA o altre sofisticate eccellenze? Non è la degenza quella che può condizionare una comunità, bensì la presenza di una struttura presidiata e comunicazioni efficaci.
Forse, mentre i notabili che stanno nelle stanze dei bottoni invece di abitare a Leonforte stanno pensando ad iscrivere alla Parigi Dakar gli autisti delle ambulanze (a titolo di allenamento), qualcuno dovrebbe provare a spiegare loro che con pochi, veramente pochi Euro, si può allestire una piattaforma per elicotteri utilizzabile anche di notte. L’elicottero fu ideato nel Rinascimento da Leonardo da Vinci, oggi, dopo 500 anni, svolge eccellenti servizi di routine: è così difficile capire che qualche posto letto ed un presidio ospedaliero collegato in rete efficacemente con altre strutture contribuiscono a legare al territorio la popolazione?
Diversamente ci troveremo a dover arginare da un lato i nordafricani che sbarcano cercando alternative alle miserie di casa loro, dall’altro ad addurre miserie ai nostri cittadini spingendoli a cercare risposte, sicurezze e civiltà altrove.
Viene da chiedersi quale sia il patto sociale che ci tiene insieme: è l’intento di sorreggerci a vicenda nelle difficoltà, o l’intendimento di costituire un impresa che miri al guadagno, al bilancio in attivo, al lucro e tagli spietatamente quanto non è necessariamente produttivo? Il “socio-assistenziale” e la sanità non possono e – in un Paese civile non devono – rispondere esclusivamente a utili di bilancio. Pensiamoci ogni tanto, e chiediamone ragione a quel Signore, a cui auguriamo bei nipotini nati a Leonforte ed un cuore sano.

Don Salvatore Minuto
Cappellano Ospedale Leonforte