Reportage CGIL: le strade di Enna

Un territorio disastrato. Tra vie che franano, cantieri chiusi e disoccupazione dilagante. Viaggio in una provincia in cui il lavoro è ormai un miraggio, ma gli oltre 200 siti archeologici restano irraggiungibili di Stefano Iucci e Carlo Ruggiero

SS 290 ennaCol castello svevo arrampicato a mille metri, per gli antichi Enna era l’urbs inexpugnalibis della Sicilia. Oggi però è un’altra storia. L’inespugnabilità orgogliosamente rivendicata un tempo s’è trasformata in debolezza: si può essere inespugnabili perché lontani, irraggiungibili e periferici anche se si è al centro di una regione che è a sua volta al centro del Mediterraneo. È il caso di Enna: l’unica provincia siciliana che non ha sbocchi al mare è quella con il maggior numero di strade chiuse (ben 40), franate, disastrate e pericolose, con percorsi tortuosi perlopiù disegnati ancora sul tracciato delle antiche trazzère. Una provincia franata anche sul lavoro. Ci sarebbe tanto lavoro da fare per curare questo territorio martoriato. Ma i cantieri sono fermi da anni e in una provincia in cui il tasso di disoccupazione è oltre il 35 per cento, non accennano a ripartire.

Alfredo Schilirò

Alfredo Schilirò

Proprio per questo Alfredo Schilirò (nella foto), il giovane e combattivo segretario della Fillea Cgil di Enna, ha scritto, nelle scorse settimane, un’accorata lettera aperta al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per invitarlo a vedere con i propri occhi la povertà e la ricchezza della sua terra. “In Sicilia – scrive il sindacalista – in edilizia si sono persi 70.000 posti di lavoro negli ultimi cinque anni (…) Per quanto riguarda la provincia di Enna, i dati evidenziano un vero e proprio bollettino di guerra. Dal 2008 a oggi riscontriamo una diminuzione della massa salariale di circa 8 milioni di euro e una riduzione dei lavoratori consistente. Si passa dai 4.103 operai attivi nel 2008 ai 3.016 del 2011, con un’ulteriore calo di 1.000 unità nel 2013 e con la scomparsa del 15 per cento delle imprese edili”. Da un lato, quindi, un territorio ricco di beni archeologici e paesaggistici che chiede di essere curato e protetto e, dall’altro, tanti lavoratori disponibili e inutilizzati.

Le strade di Centuripe
Enna è una terra ricca di beni culturali e paesaggistici; vanta 200 siti archeologici – il più noto dei quali è la Villa del Casale di Piazza Armerina –, il 90 per cento dei quali però è chiuso, in stato di semi abbandono o molto difficile da raggiungere. I pochi scavi che si fanno vengono “catalogati”, quando va bene, e subito richiusi perché non ci sono risorse per mantenerli aperti al pubblico. I venti comuni della provincia ospitano inoltre 586 monumenti censiti. Ci sono castelli federiciani sparsi ovunque, e centri storici importanti come quelli di Nicosia e Troina, la prima testa di ponte dei Normanni alla conquista della Sicilia. Strade sbarrate e tesori chiusi. È uno strazio, questo, che si spalanca su un paesaggio stupendo, duro come quelli che solo il Sud sa offrire e che mortifica un’altra grande possibile fonte di benessere per i cittadini e i lavoratori: quella del turismo.

Arriviamo a Centuripe passando per una lunga teoria di agrumeti meravigliosi. Fino agli anni Settanta, chi ne possedeva uno poteva considerarsi benestante. Oggi con la concorrenza planetaria – specialmente dal Marocco – non è più così. I contadini maledicono la globalizzazione, ma intanto sono restii a consorziarsi per essere più competitivi. Superato un paesaggio verde che sembra esplodere come da un ambiente brullo e riarso, ci fermiamo sulla strada provinciale 41 che collega Centuripe con Paternò. Siamo sulla sommità di una piccola frana: comincia da qui il nostro impervio itinerario nel cuore della Sicilia. “La strada è chiusa al traffico da diversi mesi”, dice subito Schilirò.

Ma proprio mentre ci racconta che il cantiere non parte per un conflitto di competenze tra Provincia, Comune e Acquaenna, dietro di noi passa una macchina. Poi si arrampica addirittura un camion. La strada è ufficialmente chiusa, ma in tanti la percorrono lo stesso. Anche le forze dell’ordine. Spesso non se ne può fare a meno: “Il primo pronto soccorso per i centuripini sta a Paternò – racconta il sindacalista –, a 25 chilometri di distanza da qui percorrendo questa arteria. Se si prende la strada che invece è aperta al transito, i tempi di percorrenza raddoppiano”. L’arteria è importante anche perché collega Centuripe alla sua area artigianale e agli agrumeti a valle. Due delle cinque strade che escono dal paese sono chiuse: in un caso ha dato una mano un privato, che ha acconsentito a spianare con la ruspa un rudimentale passaggio – non asfaltato e pericoloso – attraverso le sue proprietà per bypassare la curva franata. In mancanza di altro ci si ingegna. A Centuripe, dalla cui sommità si vede all’orizzonte l’Etna già innevato, c’è un piccolo ma importante museo archeologico.

La storia del museo è questa: la prima pietra è stata posata nel 1950, il museo è stato aperto finalmente nel 2000 per essere quasi subito richiuso per adeguarlo alla norme di sicurezza. Quello di Centuripe non è un caso limite. Per vedere la Venere di Morgantina, riportata ad Aidone in pompa magna da Rutelli che riuscì a strapparla al Paul Getty Museum di Malibù, bisogna percorrere, staccandosi dalla Palermo-Catania, una strada tracciata in mezzo ai boschi e molto stretta: due pulmann in senso opposto avrebbero difficoltà a incrociarsi. Il risultato è che mentre in poche settimane in Usa 400 mila persone hanno potuto vedere il capolavoro, ad Aidone questa fortuna è toccata finora solo a 30 mila visitatori.

L’autodromo sul lago
Non solo le strade tradizionali sono chiuse intorno a Enna. Ai piedi della città, intorno al lago di Pergusa – l’unico bacino naturale rimasto in Sicilia – nel 1951 è stato costruito un autodromo che corre in uno scenario bellissimo e nel quale si sono svolte anche gare di Formula 1 e Formula 2. Quando arriviamo un motociclista solitario sfila lungo l’anello, ma da tempo l’attività sportiva è sospesa. Il bello è che l’ente tuttora esiste, c’è un cda con il suo presidente.

Tutto questo avviene – meglio, non avviene – mentre in edilizia in un solo anno sono andati persi 2.000 posti di lavoro. La situazione in provincia si sta facendo insostenibile, aumentano le paure, la pressione sociale di una terra di braccianti e minatori che pure non ha mai avuto vita troppo facile. “Per questo – spiega Schilirò – stiamo organizzando i comitati dei lavoratori disoccupati edili. Vogliamo provare a cambiare la situazione, incidere sulle istituzioni. Incontriamo spesso i sindaci, il prefetto. Bisogna fare qualcosa prima che sia troppo tardi”. Intanto chi non spera più compie gesti drammatici. Qualche settimana fa a Barrafranca un disoccupato ha tentato di darsi fuoco cospargendosi di benzina. Prima dell’estate il gesto tragico di Michele La Delfa, un operaio edile disoccupato che, tagliato fuori dall’assegnazione di una casa popolare, è salito sul tetto del municipio di Leonforte e si è dato fuoco, morendo dopo alcuni giorni di terribile agonia in ospedale. Faceva parte del direttivo della Fillea Cgil e qui ti raccontano che, durante la cena di fine anno, lo avevano sentito ripetere al figlio: “Mangia, mi raccomando. Quando ti ricapitano tutte queste cose”! Sembra, questa, una storia da Italia del dopoguerra, la scena forte di un film neorealista.

Proprio a Leonforte incontriamo Carmelo Ciurca, 60 anni, operaio edile disoccupato da sette. “Grazie” alla riforma Fornero, Ciurca non potrà andare in pensione prima di 5 anni. “Quando ho smesso di lavorare avevo 25 anni di contributi. Questo vuol dire che al momento di andare in pensione avrò un assegno da miserabile e continuerò, come adesso, a fare una vita da miserabile fino a che morirò. Speriamo presto, perché non si può andare avanti a lungo così”. Carmelo snocciola questa frase senza enfasi, con una calma lucida e asciutta. “Siamo allo stremo – dice –. Il paese sta morendo, tutti vanno via, restano solo i vecchi e nessuno fa niente: sindaco, prefetto… Mi dicono di avere pazienza, ma che pazienza si può avere alla mia età, cosa si può aspettare ancora”? Carmelo ha due figli, l’unico che lavora sta a Milano, si è laureato, “perché quando avevo un lavoro avevo la mia dignità e sono riuscito a farlo studiare”, scandisce ora con orgoglio sollevando appena il tono della voce.

Il lavoro che non c’è
È un elenco senza fine quello delle strade straziate che attraversiamo: la strada che collega sempre Centuripe a Regalbuto, il paese che diede i natali a Riccardo Lombardi, è franata; il collegamento tra Gagliano e l’autostrada Catania-Palermo è chiuso da cinque anni (anche qui controversie tra ditte, processi, ricorsi al Tar eccetera eccetera) e oggi domina il paesaggio un ponte interrotto, un’armatura sguarnita e con i piloni arrugginiti buttati su un fianco come bestie preistoriche senza vita; e, ancora, la strada panoramica per Enna, la più importante per raggiungere il capoluogo, chiusa anch’essa da tempo al traffico e la statale che collega Nicosia con Calascibetta – con il suo villaggio bizantino e la chiesetta palatina, interrotta da due anni per uno smottamento.

In due giorni incontriamo solo un cantiere aperto con un po’ di operai al lavoro, quello della statale 117, il tratto locale della famosa strada dei due mari che dovrebbe mettere in comunicazione Nord e Sud della Sicilia tra Santo Stefano di Camastra e Gela e che va avanti con lentezza da anni in uno snervante e insensato stop and go. “Il cantiere – spiega Schilirò – dovrebbe durare un paio di anni, anche se non tutti i lotti si stanno realizzando perché il governo regionale ha dirottato una parte dei fondi su altri capitoli. Il tratto che attraversa la nostra provincia mette in comunicazione due Comuni importanti come Mistretta e Nicosia e dà lavoro a una sessantina di operai edili. In una situazione di crisi come quella che stiamo vivendo, per noi questo cantiere è come la Fiat”.

Ma forse l’esempio più emblematico di questo sfascio resta l’arteria che collega Assoro con la valle del Dittaino (naturalmente dissestata): la zona industriale di Enna. Il Dittaino doveva rappresentare il sogno di sviluppo della provincia, un’opportunità per una terra che doveva “sostituire” miniere e minatori lasciate morire senza alternative credibili. Nella valle le aziende un tempo c’erano, la Sipem, per esempio (tubi in cemento 300 addetti) Deteritalia (detersivi), Ipra (soluzioni fisiologiche). Oggi a percorrerla in parallelo davanti agli occhi si svolge uno dei tanti cimiteri industriali che attraversano il paese. Capannoni accasciati, depositi arrugginiti e vinti dalla natura che avanza inondandoli di sterpi ed erbacce. Resiste, solo, una piccola filiera agroalimentare (Ceccato e Pandittaino), anch’essa però in difficoltà, mentre poco più in là si staglia l’enorme Sicilia Outlet Village, il più grande centro commerciale dell’isola, forse troppo grande, quasi deserto in una mattina autunnale e piovigginosa. I disoccupati, si sa, hanno tanto tempo libero ma non vanno a fare spese.

Guarda il video
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GIOVANI E NO
Cosa resta per un giovane in un contesto come quello di Enna? Ce lo racconta Marco La Paglia, disoccupato, 30 anni e con un figlio di 4: “Mi mantengo con lavoretti occasionali e con l’aiuto di mia madre che fa quello che può. Il lavoro è diventato un lusso. Semplicemente, non c’è. Lo cerco continuamente, accresco le mie competenze, prendo patentini, ma niente. Nei colloqui mi chiedono, come prima condizione, l’esperienza: ma come faccio se nessuno mi dà la possibilità di cominciare”? Marco ha un diploma da geometra, ma le uniche possibilità che si gli offrono, in questo campo, sono tirocini “in cui non solo non vieni pagato, ma non impari niente: ti fanno fare fotocopie, piccole commissioni. Nulla di più. Le uniche possibilità che vedo sono quelle delle vendite porta a porta. Ti chiedono massimo impegno, disponibilità oraria totale e obiettivi ambiziosi. Ma quando parli di contratto glissano, alla fine scopri che ti pagano solo a provvigioni e che arrivare a un salario decente è quasi impossibile”.

Le altre generazioni qui non è che se la passano meglio. E poi hai i paradossi tutti italiani di una politica che non ne ha azzeccata una. Prendiamo la riforma delle pensioni della Fornero che nel settore edile ha un effetto devastante: come fa un muratore ultrassessantenne – che verosimilmente ha iniziato da piccolo, generalmente al nero – a salire sui ponteggi o arrampicarsi sui tetti o riparare strade sotto il sole cocente? Ma poi, ce ne fosse di lavoro: i cantieri sono chiusi e le opportunità quasi inesistenti. “Almeno datecelo questo benedetto lavoro – ci dice Franco Varisano, 59 anni e disoccupato –. Noi non abbiamo paura del lavoro, ma di un’altra cosa: dire ancora ‘chiedo scusa a vossia’, ‘voscienza benedica’. Anche se il dottor Renzi dice che non andrà in Europa col berretto in mano, noi siamo quelli che ancora e sempre vanno col berretto in mano per cercare lavoro e quando lo trovano, raramente, è in nero, senza diritti, e senza ammortizzatori sociali”. Varisano era uno di quelli che in cantiere si faceva sentire, era sindacalizzato, prendeva la parola e quando era il caso protestava. E così, nonostante avesse un contratto a tempo indeterminato per l’intera provincia di Enna, è stato licenziato. Una lettera dell’azienda datata 20 maggio 2011, che ancora conserva tra le sue carte, gli comunica che il 23 maggio sarebbe stata la sua ultima giornata lavorativa.

Franco non si è abbattuto, ha la scorza del caruso abituato a lottare, la sua voce si incrina solo quando ti racconta del padre, minatore, emigrato in Belgio, tre notti da solo in profondità con una caviglia rotta (“è stata la sua fortuna, alla fine: dopo l’incidente ha lasciato la miniera ed è tornato a Enna per costruirsi una casa”) o quando ricorda i bambini che tornavano morti a dorso di mulo uccisi a bastonate dal padrone – ma la versione ufficiale incolpava il calcio del cavallo. Da un po’ di tempo Franco collabora con la Fillea, gira per cantieri e incontra operai delusi, sfiduciati, poco inclini alle speranze. “Qui la gente si accontenta di lavorare anche per 25 euro al giorno – racconta –, giusto per portare a casa qualcosa da mangiare. Ho visto persone vergognarsi di guardare in faccia la propria moglie o in difficoltà per non poter comprare libri e quaderni ai figli”. Ma questa, cioè la difficoltà di fare sindacato in terre come queste, è un’altra storia. O forse è la stessa.

UN TERRITORIO SENZA AZIENDE

Rita Magnano

Rita Magnano

“La crisi che ha colpito l’intero paese ha in questo territorio ripercussioni più disastrose che nel resto d’Italia: da noi lo sviluppo non è mai partito e quindi la crisi impatta su un tessuto economicamente già molto sofferente”. Così Rita Magnano (nella foto), segretaria generale della camera del lavoro di Enna. “Non abbiamo aziende – aggiunge la sindacalista – e quelle che sono arrivate, al momento della chiusura delle miniere – con la promessa della nascita di una zona industriale hanno intascato contributi pubblici e poi se ne sono andate, abbandonando il territorio nell’assenza totale della politica che qui non si è mai mossa fuori da uno schema di brevissimo respiro e clientelare”.

Quali opportunità potrebbe offrire la provincia di Enna?

Magnano Innanzitutto la sua centralità che, invece, si è trasformata per la condizione terribile delle nostre infrastrutture, una debolezza. Il risultato è che i giovani se ne vanno e non tornano più. Eppure ci sarebbero tante cose: il turismo culturale, archeologico e paesaggistico. Potremmo quasi vivere di solo turismo se la politica fosse capace di progettare e programmare e di mettere in rete. Quel po’ di turismo che abbiamo è “mordi e fuggi”. E non potrebbe essere altrimenti, considerano lo stato delle nostre strade.

Altri settori produttivi su cui puntare?

Magnano Sicuramente ci sarebbe spazio per un’agricoltura di qualità. C’è una giovane imprenditrice (Carla La Placa, ndr) che sperimenta la coltivazione di grano con antichi semi autoctoni. Tanto si potrebbe fare, sulla qualità delle produzioni, sugli allevamenti. Nella zona industriale del Dittaino, quella da cui le aziende sono fuggite, le uniche filiere che bene o male reggono, seppur tra mille difficoltà, sono proprio quelle del pane e della pasta. Ripeto: dobbiamo far qualcosa per i giovani; noi nel nostro piccolo come camera del lavoro ci proviamo, abbiamo messo a disposizione di un gruppo di ragazzi di Enna alcuni locali attrezzati dove poter pensare e realizzare progetti innovativi. Bisogna muoversi prima che sia troppo tardi.


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