Il Teatro di Morgantina: l’incubo di un sogno

Giorni fa, nel sito archeologico di Morgantina, sono stata vittima di un fatto a dir poco strano. Vi ritornavo, a distanza di parecchi anni, per vivere le suggestioni che, in un silenzio quasi sacro, solo un sito archeologico riesce a dare; e mi spingeva la voglia di cogliere ancora sfumature, particolari, che mi facessero assaporare l’armonia di un mondo ormai scomparso.

Percorso un breve tratto della Plateia A, entro da Nord Est. Ammiro la Casa Fontana e proseguo verso la Stoà Est.
Dietro di me sento borbottare: “Ma cchi ci vidi a genti ni sti petri? A che servunu?”
Mi giro: un uomo segue il mio percorso: zaino in spalla, calzini, scarpe da tennis, pantaloncini corti, berrettino, lattina di Coca e sacchetto di patatine nelle mani, il classico turista domenicale.
Superato l’Edifico Annesso alla Stoà (una volta chiamato Pritaneo) salgo su per la collina per raggiungere la “Casa di Ganimede” . Il mio borbottante non richiesto accompagnatore continua a seguirmi: cerca di capire qualcosa delle pietre, e perplesso più che mai, si fa coraggio e mi pone delle domande.

Illustro quanto posso, indicando i principali monumenti, …, volto lo sguardo ad ovest, un bagliore mi acceca e mi disorienta. Proviene dal teatro, … anzi il “Nuovo Teatro”!
Stento a riconoscerlo, una nota del tutto stonata in quel di Morgantina, che trasuda antichità.
E il turista esclama: “Ora sì ca si vidi ‘na cosa pulita !”
Trafelata mi precipito giù e corro verso il “monstrum”.

Un gruppetto di persone, nell’orchestra, commenta ammirato: “Ne sono valsi la pena gli Euro spesi. Un genio chi l’ha restaurato, veramente geniale, solo un profondo e colto conoscitore dell’antichità classica poteva arrivare a tanto. Bravi anche i finanziatori, finalmente speso bene il denaro pubblico!”.
Stupore, sgomento, colpo al cuore, lacrime… stento a reggermi in piedi.
Stordita, e non solo dal sole, … forse ho perso i sensi….
Mi ritrovo immersa in un sogno … da incubo.
Nel sogno vedo me: sbigottita, disorientata, mi aggiro in un luogo in cui non mi raccapezzo, ma qualche particolare mi richiama qualcosa di familiare … sento di essere ancora a Morgantina.
Timorosa, continuo a guardarmi attorno, mi incammino verso nord… Ecco la Grande Scalinata, l’Ekklesiasterion, … Sì, sono proprio nell’Agorà.

Quanta gente che bivacca sui gradini! … su un palcoscenico di pietra, oddio il vecchio “Bema” ricostruito, un gruppo di giovani assorda l’aria con suoni metallici amplificati …
Proseguo verso nord …
A sinistra, una palazzina con una bella facciata di pietra bianca dove si aprono cinque negozi, eleganti: “Antichi Profumi di Morgantina”, “Le Gioie dei Morgeti”, “ Pottery Shop”,
“Alta Moda Ellenistica”, “Music Shop: Morgantina’s Sounds & Videos”.
Ma sì, sono le cinque stanze della Stoà Ovest, rivedute e corrette….
A destra, … una grande insegna: “Dancing” e un folla disordinata davanti ad un botteghino.

È un edificio imponente, quasi quadrato, da cui proviene una sorda percussione che fa vibrare anche il suolo … con uno sforzo di memoria mi ricordo del Macellum e con ansia voglio scoprire il mistero. Entro, ed ecco una piattaforma circolare, l’antico Tholos, su cui si dimena una cubista, tutt’attorno una folla sbavante che la segue con lo stesso ritmo; guardo intorno ancora più attonita e, a nord e a sud, stanze in cui ci si può appartare, agli angoli due bar. Ma il mio sguardo è attirato da una grande targa, affissa al muro del temenos, pardon del botteghino, inneggiante al ricostruttore …
Mi precipito fuori e continuo verso nord.

Sulla sinistra all’angolo nord-ovest dell’Agorà scopro la “Nuova Stoà Nord-Ovest: un atrio, una banca con bancomat, un’agenzia di viaggi.
Un cartello indica una toilette, seguo l’indicazione, ed afflitta da un cattivo odore, scopro che il vecchio Bouleuterion è diventato una latrina pubblica.
Sono sempre più disperata, a nulla valgono le chiassose e multicolori bottegucce di souvenir, ed il buon odore della pizzeria che ha preso il posto del vasaio in quella che era la Stoà Nord.
Non mi risollevano. Né trovo conforto nell’ammirare i giochi d’acqua della “Casa Fontana”, la Nuova Fontana, che si è rivestita di marmi colorati. Cerco solo un riparo per un attimo di riposo e di raccoglimento, voglio alleviare la mia angoscia. Ed eccomi sotto un magnifico porticato, la ex Stoà Est: colonne doriche “di pietra”, nuove di zecca, pilastri interni ricoperti di marmo, ed uno stupendo muro, istoriato con i graffiti che esaltano la nuova era di Morgantina: al centro una gigantografia del suo ricostruttore e le effigi di varie eminenze, assessori e presidenti, che si guardano in cagnesco tra loro; il resto è la storia illustrata delle fasi della ricostruzione.

Sulla terrazza della Stoà, scorgo dei tavoli, sotto grandi ombrelloni. Appartengono al bar-ristorante cui è stato concesso il Nuovo Pritaneo.
Stanca, anche se a malincuore, mi siedo. Ed è allora che al mio sguardo si svela, tra la Grande Scalinata e il Santuario, una grande statua svettante sul nuovo “Basamento”.

La guardo distrattamente, oramai mi aspetto di tutto, quando con gran clamore vedo dirigersi verso di essa una turba di gente, inneggiante, osannante, sventolante cartelli, gridante slogan.
Intimorita osservo, non capendo cosa stia succedendo. Ad un tratto la torma si prostra davanti alla statua e si ammutolisce, ed una voce stentorea comincia a declamare: “Gloria a te”, “Bravo, solo tu puoi dare vita a pietre inutili”, “Continuiamo a ricostruire”, “Ad Atene”, “Anche ad Atene” .
E la massa adorante: “Pure a Siracusa”, “A Siracusa”, “Noi ti seguiremo”
E il turista che mi accompagna: “ Hanno ragione, è proprio un grand’uomo”.

Adesso mi spinge la curiosità, vado e vedo: è la statua del primo grande ricostruttore, quello del teatro, con una corona di alloro sulla testa, un compasso in una mano, e una calcolatrice nell’altra”.
Disgustata, mi riavvio al bar-ristorante, devo riposare. Ma lo sguardo si spinge alla Collina Est, dove una grande insegna, “Ducezio’s Hotel”, troneggia su una costruzione che so essere stata la Casa di Ganimede.

Prorompo in un urlo inarrestabile …E mi sveglio, atterrita dall’incubo del sogno.

Seduta sugli scalini, con la testa tra le mani, piango e sogno ad occhi aperti che un manipolo di mercenari Hispani cattura il grande ricostruttore ed i suoi seguaci.
Nel mentre mi si avvicina il mio turista- accompagnatore che, esaltato, ispirato ed illuminato, dice: “Quante bellezze abbiamo visto nel nostro sogno!” e poi aggiunge, con sguardo furbesco:
“Quanti affari si possono fare ricostruendo, e qui c’è ancora molto da fare!” e già tirava fuori, anche lui, una calcolatrice…

Rosy Cortese