Villarosa: Morto a Villapriolo boss latitante tra i 30 più pericolosi d’Italia in sparatoria

Enna. Una fine da boss del padrino gelose tra i primi 30 latitanti più ricercati d’Italia. Il boss latitante di Gela, Daniele Emanuello, è morto nel corso di una sparatoria avvenuta stamani a Villapriolo, frazione di Villarosa, durante l’operazione della polizia di Stato.

Emanuello, 43 anni, era ricercato dal 1996 per associazione mafiosa, traffico di droga e omicidi. Era inserito nella lista dei 10 ricercati più pericolosi del ministero degli Interni.

Durante l’operazione gli agenti della polizia hanno aperto il fuoco e c’è stata una sparatoria.

Daniele Emmanuello è morto a causa di un proiettile di pistola che lo ha colpito alla nuca. E’ quanto emerge dal primo esame sul cadavere effettuato dal medico legale. Secondo i primi rilievi investigativi il latitante quando è fuggito dal casolare dove si nascondeva non era armato

La latitanza di Emanuello era iniziata nel 1996, dopo la cattura dei reggenti dell’epoca, ed era coincisa con la sua ascesa ai vertici di “Cosa Nostra” in provincia di Caltanissetta. Con i suoi fratelli, Nunzio, Davide e Alessandro, tutti attualmente in carcere, aveva infatti costruito uno dei clan più potenti e organizzati della Sicilia sud-orientale, tanto da avere rapporti diretti con i principali capimafia di Catania e Palermo. Non solo potere ma anche soldi e possedimenti. Un boss di primo piano, secondo gli investigatori di polizia e carabinieri che gli davano la caccia da 11 anni e che già in un’occasione, ad inizio del 2007, erano riusciti ad arrivare vicini alla sua cattura, sempre nelle campagne ennesi.
Proprio Emmanuello, tra l’agosto del 1988 e la fine del 1989, era riuscito a sfuggire a ben due attentati. Il primo, quando un sicario aveva esploso una scarica di revolver contro la sua auto, a bordo della quale viaggiava assieme ai tre fratelli, e il secondo nella sua abitazione di via Bevilaqua, contro la quale un commando “stiddaro” aveva lanciato una bomba “ananas” rimasta però inesplosa.

Poi Emmanuello si era volatilizzato, inseguito da vari provvedimenti giudiziari, fino al mandato di cattura del 1996 e ad un ordine di carcerazione internazionale emesso nei suoi confronti nel 1999. Ora a Gela e in provincia, con la sua morte, potrebbe aprirsi una lotta per la successione, riaccendendo le velleità delle famiglie più sanguinarie, che il boss Emmanuello aveva sempre tenuto a bada esercitando il suo potere e la sua forza.

Un predominio che solo una volta in questi anni era sembrato vacillare. Era accaduto durante la “faida lampo” del luglio 1999 (quattro omicidi in tre giorni a Gela), dopo che vecchi alleati, i Rinzivillo, avevano tentato di mettere in discussione il suo potere. Ma Emmanuello, anche in quella circostanza, si era dimostrato il più forte.

SEQUESTRO DI MATTEO – Daniele Emmanuello, il boss latitante morto dopo la sparatoria avvenuta nei pressi di un casolare dell’ennese con la Polizia di Stato, era stato accusato di essere uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino Di Matteo, strangolato e poi gettato nell’acido nel gennaio 1996.
«ORA GELA È PIU’ LIBERA» – «Adesso se la vedrà con Dio ma mi sarebbe piaciuto che avesse reso conto del suo operato alla giustizia degli uomini». Così il sindaco di Gela, Giuseppe Crocetta, commenta la notizia della morte del boss. Per Crocetta, che licenziò la moglie del capomafia che era tra i precari comunali perchè ufficialmente “nullatenente”, adesso «a Gela si può mettere fine alla parola mafia» perchè, sostiene, «la cosca è stata azzerata dalle operazioni delle forze dell’ordine e della magistratura». Secondo il sindaco «Emmanuello ha avuto la responsabilità di avere distrutto l’economia e lo sviluppo di Gela, dove il boss aveva riunito gli eserciti di Cosa nostra e della Stidda». Per Crocetta è stata confermata «la tesi che si era stabilito un patto di alleanza tra la mafia di Enna, Caltanissetta e Gela per direttive di “Piddu” Madonia». «Recentemente – osserva – era stata fatta terra bruciata attorno a lui, con centinaia di arresti tra “picciotti” e luogotenenti, ma era destinato a crescere sempre di più».
«GLI STAVAMO DIETRO DA MESI» – «Seguivamo da mesi una pista per arrivare al latitante, Daniele Emmanuello, e grazie anche alle intercettazioni ambientali siamo riusciti a individuare il casolare dove si nascondeva» ha detto il procuratore capo di Caltanissetta Renato Di Natale. «Enna si conferma un posto buono per i latitanti – ha continuato – Ma lo sapevamo già. Purtroppo il tentativo di fuga di Emmanuello è finito nel sangue».