Enna. “Fimmini” e orgoglio siciliano di un Buttafuoco a tutto tondo

Enna. E’ un Pietrangelo Buttafuoco che racconta e seduce, un cronista che oltre a narrare osserva i dettagli. A Enna, nello splendido e suggestivo scenario del caffè letterario Al Kenisa, un tempo moschea e poi chiesa sconsacrata, mette subito le mani avanti e dice di non fare il piazzista del suo ultimo libro: “Fimmini”, ammirarle, decifrarle, sedurle, per le edizioni Mondadori. L’invito era quello, ma in realtà chi si aspettava un lungo racconto sui percorsi di vita che lo hanno portato a quest’ultimo lavoro, in quasi due ore, si è immerso in un labirinto di temi e argomenti dai quali apparentemente non si riusciva a uscire e tesserli ma alla fine tutto si riconduceva a un principio secondo il quale le cose che si dissolvono nell’aria possono diventare roccia e lo scrittore le ha declinate in carta. E’ felice di stare fra gli ennesi Pietrangelo Buttafuoco, classe ‘63 e ricorda con nostalgia il suo passato e della sua “Libreria del Mastro” al centro di Leonforte. Gli studi di filosofia teoretica entrano ed escono nei suoi racconti fatti di tanti successi non ultimo il teatro Stabile di Catania, ereditato da Pippo Baudo e che sotto la sua gestione è forse l’unico in attivo in Italia; alla platea da un importante annuncio: gli spettacoli dello Stabile, prossimamente, verranno replicati a Enna. “Ci portiamo dentro secoli di storia, esordisce Pietrangelo, normanni e saraceni, cristiani e greci; ovunque emerge l’orgoglio di essere siciliani e cita Andrea Camilleri che li descrive in due modi: da scoglio e da mare aperto; lui si definisce a metà e va contro il detto “cu nesci arrinesci”. Ma su questo ci sentiamo di smentirlo in nome dei tanti giovani talenti siciliani che per esprimersi e realizzarsi devono andare fuori dalla loro terra per la dabbenaggine e l’idiozia di chi gestisce il governo del territorio che quasi sempre non vuole valorizzarli nella loro città d’origine. E di giovani, al centro culturale Al kenisa ce n’erano ben pochi alcuni li incontriamo al termine della serata e ci confermano che sono stati costretti, purtroppo e a malincuore, a emigrare a Brescia o a Roma. Il gusto del bello e la necessità di promuovere cultura diventano i temi dominanti del lungo racconto di Buttafuoco, cullato da un’atmosfera natalizia soffusa, con decine di lumini quasi a proseguire da fuori la straordinaria bellezza dei 25 presepi allestiti in garage e abitazioni nell’antico quartiere del Santissimo Salvatore. Selezionato e qualificato il suo uditorio; ci colpisce la storia raccontata all’imprenditore antipizzo, Andrea Vecchio da un collega edile palermitano che davanti a una villa bellissima che rischiava di essere abbattuta, gli confida che in passato ne erano state distrutte di più belle. Buttafuoco racconta gli anni 70 della speculazione edilizia e della democrazia cristiana e scatta un flash di una Palermo magica e straordinaria che contava addirittura 200 moschee.”Investire sul bello, dice Pietrangelo, oggi è una grande opportunità. Solo i ricchi possono salvare la Sicilia, investendo il loro denaro per esempio nell’artigianato; qui parla dei giovani specialisti scalpellini del marmo e della pietra del ragusano che fatturano anche 16 mila euro al mese. E poi cita Rosa Balistreri, straordinario menestrello di Licata, che visse la sua giovinezza nella miseria e nel degrado sociale; nei suoi versi cantava: “la mia unica speranza è riempire ‘sta panza”. Da qui cuce l’esperienza di Librino a Catania con il teatro fra la gente più povera; immaginandolo come Berlino Teathre. “Troppe periferie sono state costruite in questi anni, dice Buttafuoco, e se ci pensate le periferie sono luoghi dove non succede nulla, dove non si può determinare il tempo; molte città sono state trasformate in dormitori. Inevitabile dunque il richiamo alla solitudine che definisce un disastro sociale dove il prezzo più alto è pagato dalle donne”. Proprio quando Buttafuoco stava per parlare del suo libro c’era sempre un argomento diverso; non gli vanno giù le pennette alla vodka che spazzano la cucina tradizionale siciliana, fatta di pasta e fagioli e sapori genuini come quello del piacentino ennese. “Siamo sempre più “glocali” e quindi è necessario dare più spazio al territorio, copiando da chi ha fatto meglio. I leghisti, per esempio, predicano bene ma razzolano male; sono ottimi amministratori ma dicono cose assurde”. E infine ecco la presentazione del libro; Pietrangelo Buttafuoco, con l’ironia e la grazia del seduttore, compone un quadro dove i ritratti di donne si alternano alle tecniche di seduzione e lasciano spazio agli aneddoti sui grandi amatori del secolo passato. Il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna, gli ha detto: “un giorno, semmai me ne verrà l’ispirazione, io scriverò “Masculi”, sottotitolo: guardarli, capirli, educarli”. Probabilmente è rimasta infastidita da ciò che ha scritto Buttafuoco: “anni ed emancipazioni per approdare all’involuzione del femminile. Signore che si comportano come uomini ed è per questo che fanno le cose più maschie: fumano, ostentano, si sbatacchiano, sbattono al muro la più ghiotta tra le prede di una sera. Nel segno maldestro della rappresentazione caricaturale. Anni e dibattiti sul femminismo per piegare le donne alla deturpazione botulinica del corpo e farle simili a indistinti transessuali”. Nel libro c’è anche la visione di una donna innamorata, in trepidante attesa di un “uomo”,“che riesce a trovare il tempo, inviandole un sms, per una botta e via”. Ha voluto dedicare questo libro a 3 donne che lui dice non rappresentano il suo harem ma le tre sante di Sicilia: Agata, Lucia e Rosalia. Bellissima la visione della festa catanese dove il mezzo busto della santa volge prima lo sguardo verso l’Etna e poi verso il mare. Pietrangelo Buttafuoco chiude la sua serata a Enna con una straordinaria metafora della verità, raffigurata come una madre che allatta il bambino al seno.

Ivan Scinardo