Enna. Eugenio Amaradio a Catania presenta il suo libro “Ero Balilla, in Sicilia nel 1943”

A Catania presso il Centro “Le Ciminiere”, sabato 11 dicembre 2010, alle ore 18, il locale Soroptimist Club, con il patrocinio della Provincia Regionale di Catania, presenterà il libro “Ero Balilla, in Sicilia nel 1943” di Eugenio Amaradio, stampato e distribuito da “ilmiolibro.it” del Gruppo Editoriale “L’Espresso ed in catalogo da “LaFeltrinelli”.
In questo volume l’autore tratta dell’ultima invasione della Sicilia, quando nel 1943 sbarcarono gli Anglo-Americani. Egli alterna, ai suoi ricordi personali di balilla, le sue letture storiche sulla guerra che, nel turbinio di una sola estate, travolse la nostra isola.
Condurrà la Prof. Teresa Fogliani Messina, Presidente del Club, introdurrà il Dott. Attilio Bruno, Direttore del Centro ed illustrerà l’opera l’Avv. Nello Pogliese.
Sarà presente l’autore. Verranno letti passi dell’opera e seguirà un eventuale dibattito. E’ prevista una visita didascalica all’adiacente Museo dello Sbarco, aperto per l’occasione.

Eugenio Amaradio, avvocato di Enna, si occupa oltre che di diritto anche di storia e narrativa. Ha scritto e pubblicato: LA RIBELLIONE DI CASTROGIOVANNI CONTRO IL VESCOVO DI CATANIA, Un episodio di storia siciliana del 1627, illustrato con disegni del maestro Bruno Caruso, e ERO BALILLA, nella Sicilia del 1943, con ilmiolibro.it dell’Ed. L’Espresso, oggi in catalogo presso LaFeltrinelli, in cui tratta dell’ultima invasione della Sicila, quando sbarcarono di anglo-americani

       

      

 Presentazione del volume:
Nell’autunno del 1942 cominciai a frequentare la quinta classe elementare e, soprattutto, ero stato promosso da “figlio della lupa a balilla”. Già ad ottobre arrivò la notizia della sconfitta delle truppe dell’Asse ad El Alamein. Dai bollettini di guerra che ogni giorno il nostro maestro ci leggeva si capì che la guerra in Nord Africa non andava bene. Ma la notizia che più di tutte ci colpì era stata quella della successiva caduta di Tobruk.
Stranamente noi ragazzi eravamo particolarmente legati a questa cittadina della Cirenaica che già precedentemente era stata perduta e riconquistata dalle nostre truppe parecchie volte. Avevamo anche visto ripetutamente nel nostro Cinema San Marco un eroico film di guerra su una delle tante battaglie per Tobruk. Ogni volta che le nostre truppe riconquistavano questa roccaforte, il nostro maestro, all’inizio della lezione, dopo averci invitato ad alzarci ed a metterci sull’attenti, ci leggeva con voce stentorea l’ultimo bollettino di guerra. Così apprendevamo che “le eroiche truppe dell’Asse” avevano conquistato Tobruk. L’annuncio veniva accolto con grandi grida di giubilo dato che ciò significava che per quel giorno non ci sarebbero state lezioni perché si doveva fare “la dimostrazione”. Venivamo quindi invitati a lasciare la scuola “ordinatamente”, per recarci a casa, lasciare i libri, indossare la divisa di balilla e ritornare per la sfilata. La via Roma, adiacente la nostra scuola, veniva subito invasa da un festoso turbinio di ragazzi di tutte le scuole, che allora erano ubicate nell’ex convento dei Gesuiti di S. Chiara. Tutti correvamo gridando di gioia, più per la vacanza che per la vittoria conseguita. Ci si metteva in divisa, si correva di nuovo a scuola dove ciascuno di noi, assumendo un atteggiamento marziale, prendeva il posto assegnato in base alla squadra cui apparteneva, al grado ed all’incarico che ricopriva ed, infine, al altezza. Avanti sfilava il gagliardetto portato dal “capomanipolo”, poi veniva la squadra dei tamburini che battevano il tempo della marcia a passo romano ed infine tutte le varie squadre, ordinate per classe. Per prima sfilavano i “Figli della Lupa”, composti dai bambini sino alla 4° elementare. Venivamo poi i “Balilla” cui appartenevano i ragazzi sino alla 3° ginnasio. Poi sfilavano gli “Avanguardisti”, composti dagli studenti delle superiori ed, infine, gli “Universitari”. La stessa cosa si ripeteva per le ragazze e per gli anziani, con corpi e gradi diversi.
Ero anche tamburino in quanto avevo conquistato l’incarico, dopo lunghe e snervanti selezioni, in quanto avevo un buon “orecchio”. Ero molto orgoglioso della mia divisa, del mio tamburo e del grande medaglione che portavo al petto, dove c’era l’effigie del Duce di profilo con elmo guerresco. La sfilata si snodava per le vie cittadine ed infine si concludeva in Piazza S. Benedetto avanti alla “Casa del Fascio” dove ogni squadra si ordinava disciplinatamente in ranghi serrati e lì cominciava l’attesa dell’apparizione al balcone del “Federale”. Ci si sgolava a gridare all’unisono i vari motti del regime. Da “vincere e vinceremo”, a “Viva il Duce e viva il Re” ed a vari ed innumerevoli saluti fascisti ed “Eia, eia, alalà”. Di tanto in tanto si intonavano anche alcune strofe delle canzoni di rito tra cui prevaleva “giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza …”. Infine si apriva il fatidico balcone ed appariva il Federale con accanto i vari gerarchi locali, tutti in divisa. Poche parole stentoree, in perfetto stile mussoliniano, celebravano l’avvenimento e quindi, dopo gli ultimi canti, la dimostrazione veniva sciolta e tutti eravamo autorizzati a tornarcene a casa. Tutti tranne coloro che come me avevano qualcosa da riconsegnare a scuola. Io con gran dolore dovevo riportare il tamburo. Ma mi sfogavo suonandolo e battendolo vibratamente ancora per tutta la strada sin dentro il cortile della scuola, suscitando le ire prima dei passanti ed, infine, del bidello. Poi tutti andavamo al Belvedere a giocare, a litigare, a rincorrerci … sempre in divisa, contravvenendo all’ordine ricevuto di andare subito a riporla a casa per non “disonorarla”. Cessata la manifestazione, la nostra vita riprendeva il solito andazzo e non venivamo a sapere mai quando “le eroiche truppe dell’Asse” avevano perso Tobruk per le alterne vicende della guerra. Sta di fatto che, dopo qualche tempo, il maestro ci leggeva un nuovo bollettino di guerra. Risultava ancora che sempre le stesse “eroiche truppe dell’Asse” avevano riconquistato Tobruk. La storia era sempre la stessa. Nessuno aveva l’ardire di rilevare che era la medesima “dimostrazione” che si ripeteva uguale alle precedenti.