Piazza Armerina, villa restaurata. Mosaici salvi al prezzo di un suicidio architettonico: ricostruzioni disneylandiane

La nuova struttura voluta da Sgarbi ha comportato la distruzione del vecchio intervento formato da Minissi, ma con risultati molto discutibili e senza passare da un concorso internazionale.

Il 4 luglio inaugura il restauro di Piazza Armerina. I mosaici della più bella villa romana in Sicilia sono finalmente salvi ma a prezzo di un suicidio architettonico. La nuova struttura, voluta da Vittorio Sgarbi e curata da Guido Meli, ha comportato la distruzione del precedente intervento di Franco Minissi della fine degli anni cinquanta, un restauro magistrale concordemente giudicato uno dei capolavori della museografia contemporanea. L’idea di Minissi era intelligente e ancora attuale: poiché della antica villa rimanevano la gran parte dei mosaici ma solo alcuni ruderi di muri, questi erano stati ridisegnati virtualmente integrandoli con superfici trasparenti che riprendevano le originali volumetrie. Il visitatore poteva così, con appena uno sforzo di immaginazione, ricostruire il passato ma senza perdere di vista il presente. Senza essere ingannato da ricostruzioni disneylandiane o da falsi storici, come invece oggi accade troppo spesso per colpa dell’infausta teoria del dov’era e com’era.

Realizzato malamente, soprattutto dal punto di vista tecnologico, l’intervento di Minissi era diventato una serra troppo calda d’estate e gelida d’inverno. E a causa di questi problemi era stato giudicato irrecuperabile e destinato ad essere abbattuto. Al suo posto è stata invece realizzata una nuova struttura opaca e non più trasparente, funzionale ma di mediocrissimo valore architettonico che ha riproposto anch’essa, ma senza il beneficio della leggerezza, le volumetrie originali e, come contentino e per evitare l’accusa di avere distrutto in toto un capolavoro, ha conservato qua e là qualche ricordo dell’opera di Minissi.
Insomma: un disastro. E non solo perché la villa del Casale di Piazza Armerina è una opera preziosa che non merita simile caricatura ma perché rappresentativa di un metodo che sta sempre più prendendo piede, negando di fatto le migliori acquisizioni di una tradizione italiana del restauro interpretativo e non ricostruttivo che vanta autori del calibro di Scarpa, Albini, Gardella.

Ma veniamo all’accusa che l’intervento di Minissi fosse irrecuperabile. Affermazione avventata che dimentica che oggi con il vetro o con i materiali trasparenti si realizzano opere climaticamente perfette. E che non tiene presente che qualsiasi struttura se non curata e se lasciata abbandonata a se stessa, dopo un po’ di tempo si degrada (cosa si potrebbe dire allora del Beaubourg se non fosse adeguatamente gestito e ristrutturato? Eppure è una macchina museale perfetta che ospita nel massimo confort milioni di visitatori ogni anno).

Ma ammesso e non concesso che la struttura minissiana dovesse essere distrutta, perché affidare la nuova a progettisti sconosciuti e non selezionati internazionalmente? Un capolavoro dell’umanità non può essere dato a chiunque. Non siamo teorici della eterna permanenza dell’architettura, ma se un’opera eccellente doveva lasciare il campo, doveva farlo per una migliore. Insomma sarebbe servito un concorso internazionale con una giuria seria.
Ma – si aggiunge- non c’erano i tempi, i finanziamenti scadevano… Ecco le solite risposte di chi accetta che l’Italia sia un paese da terzo mondo. E non comprende come oggi con la nuova Piazza Armerina si celebri un funerale per l’architettura contemporanea in Italia.

Luigi Prestinenza Puglisi
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