Depositate le motivazione della sentenza del maxiprocesso alla mafia ennese

Sono state depositate le motivazioni della sentenza del maxi-processo a Cosa Nostra di Enna, Caltagirone, Riesi e Messina. Il processo vede alla sbarra lo storico boss di Enna Gaetano Leonardo, difeso dall’avvocato Antonio Impellizzeri, come principale imputato, condannato a 17 anni per otto estorsioni e per lui la condanna è divenuta definitiva. Poi ci sono un’accusa di concorso esterno e due condanne da rivedere. Nella sentenza i giudici della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Arturo Cortese, ha spiegato perché ha annullato quattro condanne e ne ha rese definitive altre sei per i nove imputati, per Giancarlo Amaradio, invece, c’è una doppia valutazione delle accuse. Il processo interessa le tante estorsioni ad imprese e commercianti che si erano consumate fra Enna e Piazza Armerina, e tra queste c’è l’estorsione che fruttò 200 milioni delle vecchie lire sulla costruzione del primo lotto dell’ospedale Umberto I di Enna. Le sentenze definitive sono state per Salvatore La Delia, condannato a 2 anni; per Giovanni Laurino di Riesi, condanna a 8 anni; per il boss Ciccio La Rocca di Caltagirone, condanna a 10 anni; e per il villarosano Santo Nicosia condanna a 4 anni, difeso dall’avvocato Francesco Tavella. Giancarlo Amaradio, minorenne ai tempi dell’estorsione, diventa definitiva la condanna a 5 anni e 516 euro di multa per un’estorsione, inserita nel maxi-processo. I giudici della Cassazione hanno annullato definitivamente un’altra accusa di estorsione, perché all’epoca dei fatti era minorenne, con trasmissione degli atti alla Procura minorile. Amaradio è difeso dall’avvocato Giovanni Palermo.
I giudici d’appello dovranno valutare tutte le prove, pure quelle presentate dalla difesa per Filippo Gangi, imprenditore edile di Aidone, condannato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Questo è il motivo dell’annullamento della condanna di Gangi, difeso dall’avvocato Giovanni Aricò, che era stato pienamente assolto in primo grado. In appello la Corte ammise l’escussione di un testimone, un imprenditore che aveva dichiarato di aver fatto da tramite per una richiesta di pizzo, la cui deposizione fu ritenuta una prova decisiva, mentre la difesa aveva chiesto di ascoltare nuovi testimoni. La Cassazione ha scritto che, quando ci sono nuove prove in appello, un imputato ha tutto il diritto di chiedere prove a discolpa, che vanno ammesse, a meno che non si ritengano “manifestamente superflue o irrilevanti”. E non era questo il caso: si dovrà ripetere l’appello. Le pene da ricalcolare riguardano Balsamo e Furgone. Il piazzese Pietro Balsamo era stato condannato a 8 anni per estorsione, ma secondo la Cassazione, che ha accolto i ricorsi degli avvocati, la pena va considerata in continuazione con una precedente condanna. Pena da ricalcolare anche per Sebastiano Gurgone, per cui c’è un “difetto di motivazione” sull’entità della pena, condanna a 9 anni.