Enna. Ing.Margiotta: nessuno tocchi i precari

Di quando in quando occorre indignarsi in prima persona. E questa mi sembra l’occasione buona per farlo pubblicamente. Mi riferisco alle recenti vicende che riguardano i nostri precari, i precari siciliani.
Il termine “precario” mi indigna a sua volta, ma non è questo il tema.
Il tema è quello della impossibilità di stabilizzare i circa 18.500 lavoratori assunti a partire dal 1988 e dal 1995, rispettivamente, per i più svariati compiti nella pubblica amministrazione, con contratti a tempo determinato e spesso part-time. Li chiamano “contrattisti”, “articolisti”, “LSU” e in mille altri modi, e reggono i servizi nei comuni e in altri enti pubblici che il personale di ruolo, o comunque “stabilizzato”, non svolge per i più svariati motivi. Gli stipendi sono in generale dell’ordine dei 700 euro mensili.
Adesso, tra patto di stabilità che ne impedisce l’assunzione da parte degli enti locali e una legge nazionale che ne impedisce la proroga oltre il 31 luglio 2013, questo stato di precarietà raggiunge il limite minimo dell’incertezza e della instabilità per avviarsi al licenziamento puro e semplice.
Non voglio soffermarmi sul fatto che tanti uffici comunali e tanti servizi pubblici si reggono quasi esclusivamente su questi precari e che il loro allontanamento significherà la paralisi di interi settori, primo ma non ultimo quello della vigilanza stradale, tanto per fare un esempio.
Volendo, potremmo aggiungere alla categoria tutti i precari della scuola e i turnisti della forestale, un problema tutto siciliano, e il quadro è completo.
Di tutto questo e di altro ancora potrei dolermi e lagnarmi ed essere uguale a tanti politici, che – scusate la volgarità – piangono e fottono. Ma di che cosa esattamente mi “indigno”?
Mi indigno di questa schizofrenia che colpisce la politica regionale e nazionale e l’opinione pubblica che in parte la esprime: vogliono cacciare i precari da un lato e dare il reddito minimo dall’altra.
A sentire una certa opinione pubblica e ad ammirare il silenzio agghiacciante di un’intera classe dirigente, è giusto che questo prodotto della mala politica, questo segnale inequivocabile di malcostume, nepotismo e assistenzialismo, che sono i precari secondo un certo linguaggio comune, abbia termine. E che abbia termine nella maniera più utile al nostro equilibrio economico (da cui il termine “Patto di stabilità”), cioè con il loro licenziamento.
Non fingete di scandalizzarvi: sono cose che ho sentito con le mie orecchie durante la breve gestione dell’ATO rifiuti, schiacciata fra due demagogie opposte. L’una voleva il permanere ad ogni costo delle situazioni esistenti, per mero calcolo politico, l’altra voleva risolverli sulla pelle dei lavoratori, per semplicistico calcolo economico. Posizioni entrambe irresponsabili, nel senso che non comportavano alcuna assunzione di responsabilità diretta.
E sono cose che si sentono spesso per strada. “Che vadano a casa!”, esattamente come i Rom e gli immigrati.
Prescindendo dal fatto che se qualcuno ha colpa, questa è di chi ha permesso (e permette, nel caso dei forestali) questo metodo di reclutamento, che ne ha sfruttato e ne sfrutta il lavoro e la riconoscenza elettorale, e non certo chi ne fruisce e ne fa motivo di sostentamento.
Ma il rovescio della medaglia non è meno squallida, perché è pura demagogia, soprattutto se confrontata con il primo dato. Da parte di molti c’è infatti una corsa, fatta solo di parole finora, di tagliare gli sprechi e promuovere il reddito minimo di cittadinanza, nella fregola di inseguimento acritico al “verbo” grillino.
In Sicilia e in poche altre regioni meridionali abbiamo già conosciuto questo strumento, che allora non aveva la specificazione “di cittadinanza” ma quella “di inserimento”. Sempre reddito minimo era e ne abbiamo conosciuto i gravi limiti sia in termini di giustizia ed equità, sia di decoro e dignità, sia nelle difficoltà di discernimento.
Come spesse volte accade, i discorsi sono lunghi e complicati. Ma questa volta la sostanza è semplice.
Volete dare il “sussidio di povertà” a chi è senza lavoro ma contemporaneamente volete togliere il lavoro a chi ce l’ha, un ben magro lavoro ma pur sempre “lavoro”.
Non ci sono i soldi per pagare chi lavora e ci sono i soldi per pagarli senza lavorare?
Se il loro apporto non vi pare sufficiente, miglioratelo, inventatevi qualcosa: le nostre città non solo sono sporche ma nessuno bada al verde, nessuno fa le manutenzioni ordinarie, non ci sono più le figure intermedie negli uffici, mancano i geometri, i ragionieri, gli uscieri, gli elettricisti, i portieri. Usate i forestali per la manutenzione dei corsi d’acqua, per il verde pubblico, fate qualcosa perché non siano e non appaiano inutili e risparmiare in termini di denaro e di ambiente.
E datevi piuttosto da fare per ridare fiato alla nostra economia, abbandonate i tatticismi per conservare la leadership dei vostri/nostri partiti, non pensate solo a collocarvi per le prossime elezioni, non pensate di guadagnare consensi imitando i grillini, copiando le loro proposte senza seguire la logica di cambiamento che propugnano.
La cosa più importante non è eliminare l’IMU, ridurre il numero dei deputati o fare gesti populisti, come il reddito minimo, l’importante è rinnovare la classe politica e la sua mentalità, ricreare le condizioni per dare il lavoro a chi non ce l’ha o non ce l’ha più.
E non permettetevi di toglierlo a chi un lavoro, pur precario, ce l’ha da 25 anni.

Giuseppe Margiotta

giuseppemariamargiotta@alice.it