Nei pressi delle sorgenti i vasai avevano i loro laboratori e dai casali vicini la gente vi si recava per acquistare tegole, mattoni, pignatte e recipienti d’ogni sorta essendo ivi numerosi i banchi di argilla.
A Tavi vi si recava anche per molire il grano, i legumi e la canna da zucchero e per comprare le balate di sale, i limoni, i prodotti della pastorizia e della terra.
Il commercio si basava sul baratto “cose in cambio di cose” e presumibile che sullo spiazzo antistante la fonte si alloggiassero i banchetti su cui veniva esposta la merce.
La favara
Le donne si recavano alla favara quotidianamente per riempire le quartare o per lavare i panni. I lavatoi erano diversamente strutturati: alcuni in muratura erano coperti con tegole e sterpi e permettevano di lavare all’ombra e al riparo dalle intemperie.
Sono stati usati termini dialettali di origine araba che di seguito riporto: balata, dall’arabo balath ossia grossa lastra. Quartara da quitar ossia brocca. Favara da fawarah ossia sorgente d’acqua.
Gabriella Grasso