Da questo primo dato parte lo stimolo che spinge Laneri e Capizzi a scartabellare tra libri e scartoffie per saperne di più e per rintracciare la sepoltura del valoroso valguarnerese di cui in prima istanza non v’è traccia. Marotta non ha figli ed è a sua volta figlio unico. Questo fa temere per la memoria e per le spoglie dell’uomo che potrebbero essere rimaste obliate a Genova. Gli elementi da cui avviare la ricerca sono pochi: una piazzetta del paese gli è stata dedicata dopo la guerra, ma la targa è priva d’indicazioni ed è soltanto un riferimento toponomastico per gli inconsapevoli abitanti del quartiere.
A dare una mano ai due studiosi è Carlo Santamaria il cui padre, compagno di emigrazione del Marotta, ha conservato qualche fotografia. Poi è la giovanile caparbietà dei ragazzi a fare il resto. Attraverso i contatti (anche di persona) con gli uffici di Genova e di Valguarnera, si ricompongono quasi tutti i tasselli della storia e si scopre che Francesco Marotta aderisce nel ’44 alla formazione combattente SAP “Mirolli-Pinetti” e muore alle 12,15 nel nosocomio genovese di San Martino, verosimilmente per le gravi ferite riportate in battaglia. Il suo corpo è reclamato il 25 ottobre del ’45 da persona rimasta ignota (ma quasi certamente si tratta del padre Antonino) e trasferito da Genova per destinazione anch’essa sconosciuta. Le ulteriori affannose ricerche di Capizzi e Laneri riescono ad appurare che la salma dell’eroe dimenticato è deposta all’interno di una cappella anonima (e per questo poco visibile) nel “Viale Estremo Sud-Est” del cimitero di Valguarnera. Sulla lapide col suo nome è la scritta: “caduto a Genova per la libertà d’Italia”. Qui i due giovani ricercatori – moralmente sostenuti da Salvo Balistreri presidente dell’Anpi ennese – hanno potuto rendere omaggio al partigiano dimenticato, ripromettendosi di continuare nel loro impegno di ricerca storica e di promozione della cultura antifascista.
Salvatore Di Vita